La quota di risparmio dell’anno non può assumere rilevanza ai fini del redditometro, nonostante quanto riportato dalle Entrate a Telefisco 2014. Va notato che nelle conclusioni del Provvedimento del Garante della privacy del 21 novembre 2013 non viene in alcun modo fatto riferimento alla possibilità di utilizzare la quota di risparmio: il Garante (punto G.3) prescrive all’agenzia delle Entrate di tenere conto «dei soli dati relativi alle spese certe, alle spese per elementi certi e al fitto figurativo».
Della quota di risparmio non c’è traccia; l’Agenzia, invece, sostiene che la quota di risparmio non appare interessata dai rilievi del Garante.
Occorre osservare che i rilievi del Garante riguardano tutto il contenuto del Dm 24 dicembre 2012 (il decreto attuativo del redditometro), il quale contempla anche la quota di risparmio dell’anno. La quota di risparmio viene quindi citata nella parte iniziale del Provvedimento, ma non nella parte finale in cui vengono riportati gli elementi che – secondo lo stesso Garante – possono rilevare ai fini del redditometro. Se ne deduce che, anche per il Garante, la quota di risparmio non può assumere rilevanza ai fini del redditometro.
D’altronde, va considerato che l’accertamento sintetico si è sempre contraddistinto per il principio (che nasce sostanzialmente con il Rd 1261/1932) che, se un soggetto ha speso, si può presumere che prima abbia guadagnato. Si tratta di un principio cosiddetto “inverso”, che poi con la riforma degli anni Settanta – fondata principalmente, per gli accertamenti, sulla rettifica analitica – è stato considerato una vera e propria anomalia. Tant’è che proprio per questo è stato previsto che nell’accertamento sintetico la rettifica potesse essere effettuata solamente quando il reddito accertabile superava di un quarto (ora di un quinto) quello dichiarato. Sul concetto che la spesa presuntivamente non può che derivare dal reddito prodotto si è basato anche il vecchio redditometro (quello applicabile fino al 2008). Per il precedente strumento redditometrico, infatti, i previsti coefficienti moltiplicatori non volevano altro che individuare figurativamente la capacità che un soggetto aveva di mantenere determinati beni e servizi: quindi, in sostanza, una capacità di spesa (ed è per questo che vecchio e nuovo redditometro risultano pienamente confrontabili).
In tutto questo, va rilevato che la norma da cui deriva il nuovo redditometro (articolo 38, comma 5, del Dpr 600/1973) stabilisce che il decreto di attuazione (Dm 24 dicembre 2012) deve individuare il contenuto induttivo di elementi di capacità contributiva. Il Dm 24 dicembre 2012 prevede chiaramente che per elemento di capacità contributiva si intende «la spesa sostenuta dal contribuente».
Il decreto, però, alla fine dell’articolo 1 menziona anche la quota di risparmio dell’anno. Il principio sarebbe il seguente: l’incremento delle disponibilità finanziarie potrebbe presuntivamente essere considerato derivante da una ricchezza (imponibile o meno) formatasi nello stesso anno in cui si è generato l’incremento. Tutto ciò, però, risulta in contrasto con la ratio dell’accertamento sintetico, fondato sul concetto di spesa, oltreché con le disposizioni successive dello stesso decreto di attuazione. Va notato, infatti, che l’articolo 4 del decreto, che si occupa delle possibili giustificazioni (erroneamente definite «prove») del contribuente, fa sempre riferimento alla possibilità di giustificare come sono state sostenute le spese (con redditi esenti, con redditi di altri anni, eccetera).
Mai viene fatto cenno alla possibilità di giustificare l’incremento della quota di risparmio. La sensazione è che la quota di risparmio sia stata inserita nel decreto all’ultimo momento, per “assecondare” la nuova comunicazione integrativa dei dati finanziari del Dl 201/201, la quale, comunque, può essere utilizzata solo per la selezione delle posizioni da sottoporre a controllo e non per gli accertamenti. Anche quest’ultima considerazione avvalora il fatto che la quota di risparmio non può essere assunta ai fini della determinazione del reddito presunto, come sembra dire anche il Garante della privacy.
Il Sole 24 Ore – 6 febbraio 2014