Lega e Cinque Stelle di nuovo ai ferri corti sulle pensioni. A pochi giorni dal varo del decreto legge che istituisce reddito di cittadinanza e quota 100 — rimandato a giovedì — il vicepremier grillino Luigi Di Maio torna a mettere nel mirino i sindacalisti. «Dopo pensioni d’oro e vitalizi, ora cominciamo a prendere un po’ di soldi anche da loro», fa sapere dalla Sardegna dove si trova in tour elettorale. L’idea è quella di resuscitare una norma inserita nel disegno di legge 1071 D’Uva-Molinari del luglio scorso che doveva ricalcolare col metodo contributivo gli assegni alti (alla fine colpiti dal contributo di solidarietà, un taglio proporzionale per 5 anni). Provvedimento poi inabissato per palese incostituzionalità.
La norma anti- sindacato, invisa alla Lega, rispunta invece ora. Non a caso. Il leader pentastellato, infastidito dall’alt leghista sul reddito di cittadinanza perché trascura i disabili, ha mal digerito la manifestazione unitaria del 9 febbraio annunciata da Cgil, Cisl e Uil «contro il governo del cambia-niente». Ancora meno gradite le critiche Cgil non solo agli assegni di invalidità che, a dispetto delle promesse, non saranno aumentati dai 280 euro mensili attuali. Ma allo stesso reddito di cittadinanza valutato come « una misura complicata nell’accesso e con forti elementi di iniquità», che «non combatte la povertà, non crea occupazione e gravemente discriminatoria nei confronti dei cittadini stranieri».
Ecco dunque la risposta Cinque Stelle all’alleato di governo e alle forze sociali ostili. Scaramucce che rischiano di diventare ritorsioni. E che allontanano l’intesa sul testo finale del decreto. Tutto sembra rimesso in discussione: non solo i 400 milioni pretesi dalla Lega per i disabili e di cui nulla si sa. Ma anche le coperture — che non si trovano — per evitare agli statali pensionati con quota 100 di indebitarsi con le banche, se vogliono avere subito la liquidazione anziché fra 7 anni.
Di Maio non comprende l’ostilità della Cgil nei confronti di una misura — il reddito di cittadinanza — che giudica come « il miglior modo per affrontare il rischio di recessione, aiutare e non penalizzare, come in passato, le fasce in difficoltà della popolazione». Rischio ammesso a ventiquattr’ore dalla stupefacente dichiarazione sul boom economico possibile, come negli anni ‘60, proprio mentre l’Istat certificava uno scivolone del 2,6% in novembre della produzione industriale.
Per fare chiarezza, già quest’oggi potrebbe essere convocato un vertice politico a Palazzo Chigi. Per guardarsi negli occhi e decidere come procedere, prima della riunione tecnica sul decreto già in agenda per domani. Compreso il nodo nomine, per ora in alto mare, dei nuovi presidenti di Inps e Inail a cui affiancare un consiglio di amministrazione di 4 componenti. Oltre alla questione della pensione dei sindacalisti.
Imporre — e anche retroattivamente — a chi è o è stato in distacco sindacale un ricalcolo diverso — da quota A a quota B, nel gergo previdenziale — delle pensioni significa tagliarle in media del 27% ( stima Inps). Una misura che Cgil, Cisl e Uil già bollano come illegittima, un attacco alla libertà sindacale, protetta dall’articolo 39 della Costituzione. I lavoratori sarebbero scoraggiati dal fare attività sindacale, specie nel settore pubblico. Nel 2017 l’Inps stimava in 30 pensionati ” di nuova liquidazione” e 1.400 pensionandi la platea del possibile taglio. Pensato per stroncare i furbetti che si fanno alzare l’ultima retribuzione dal sindacato per avere una pensione più alta (pratica che l’Inps già oggi può stroncare sul nascere). Ma che alla fine colpisce tutti, senza distinguere.
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