Un’ampia fetta di beneficiari del reddito di cittadinanza, molto probabilmente, non transiterà mai presso un centro per l’impiego o un’agenzia privata per impegnarsi nella ricerca (attiva) di un’occupazione.
Certo, la nuova misura è appena partita; e la cautela è d’obbligo. Ma stando alle stime diffuse in questi giorni nel corso delle audizioni alle commissioni Lavoro e Affari sociali della Camera, impegnate nell’esame del decretone, emerge come appena un terzo (o addirittura meno) dei potenziali beneficiari del sussidio saranno soggetti all’obbligo di sottoscrivere un patto per il lavoro. A prevalere, insomma, sembrerebbe essere il binario «assistenziale» rispetto a quello di «politica attiva».
L’Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb), ieri, sulla base delle dichiarazioni Isee del 2017, ha calcolato infatti come solo il 26% dei nuclei, poco più di un quarto, «verrebbe almeno inizialmente inserito nel percorso lavorativo». Tutti gli altri (vale a dire il 74%) ne resterebbero invece fuori: il 37%, in particolare, transiterebbe nel patto d’inclusione gestito dai comuni (che risponde a bisogni complessi della famiglia, per esempio assistenza sociale o psicologica); il restante 37% risulterebbe addirittura «senza obblighi di alcun genere».
Anche applicando una diversa nozione di “occupato”, quella prevista dal Jobs act e ripresa anche nelle norme relative al Reddito d’inclusione, calcola sempre l’Upb, una quota ancora minoritaria di nuclei beneficiari del reddito di cittadinanza sarebbe indirizzata al percorso lavorativo: il 38 per cento, a fronte di un 33% che andrebbe nei percorsi di inclusione e il rimanente 29% che resterebbe invece senza obblighi di alcun genere.
Le stime dell’Upb (ieri alla Camera è intervenuto il consigliere, Alberto Zanardi) sono sostanzialmente in linea con quelle illustrate martedì dall’Istat. L’Istituto, guidato da Gian Carlo Blangiardo, ha indicato in circa 900mila i beneficiari del reddito di cittadinanza (su un totale stimato di 2,7 milioni, quindi circa un terzo) in età compresa tra i 18 e i 64 anni «soggetti all’obbligo di sottoscrivere un patto per il lavoro». Di questi, la maggior parte, circa 600mila, ha la licenza media o nessun titolo di studio. Si tratta, prevalentemente, di disoccupati (492mila persone) e casalinghe (373mila) cui i centri per l’impiego, in prospettiva, dovranno trovare un’offerta di impiego congrua.
Anche a livello internazionale, del resto, la fotografia è pressoché simile. Anzi, guardando ai numeri, anche peggio: le percentuali di reinserimento lavorativo derivanti da schemi di reddito minimo (più o meno condizionato) non superano mai il 20-25% dei beneficiari.
L’Upb, sempre nell’audizione di ieri, ha confermato, per reddito e pensione di cittadinanza, la stima di 1,3 milioni di nuclei beneficiari pari a 3,6 milioni di individui (la stessa platea indicata dal governo – l’Istat invece ha parlato di 2,7 milioni di persone). In media le erogazioni per nucleo sarebbero pari a circa 6mila euro su base annua, con un beneficio medio pro capite di 2.171 euro. C’è tuttavia una notevole variabilità: a fronte dei 2.171 euro medi annui, il 5,5% dei percettori beneficerebbe di un importo superiore a 6mila euro l’anno, mentre per circa il 60% dei beneficiari l’importo sarebbe inferiore a 3mila euro annui. Per meno di un quarto dei percettori il reddito di cittadinanza varrebbe meno di mille euro l’anno.
Passando alla distribuzione territoriale, sempre per l’Upb, il 56% dei nuclei beneficiari risulterebbe residente al Sud e nelle isole, il 28% circa al Nord, il restante 16% al Centro.
Per l’erogazione di reddito e pensione di cittadinanza si stima un costo pari a circa 5,8 miliardi di euro nel 2019, anno in cui data la tempistica prevista dal decretone saranno erogate al massimo nove mensilità (da aprile a dicembre), e di 7,8 miliardi a regime, valori sostanzialmente in linea con quelli delle valutazioni ufficiali riportate nella relazione tecnica al decretone. È previsto pure un monitoraggio mensile da parte di Inps: qui l’Upb, nonostante lo giudichi «fondamentale per il controllo della spesa», non ha lesinato criticità. Una su tutte? «La difficoltà di sospendere l’acquisizione delle domande di beneficio in attesa della rimodulazione degli importi dei benefici stessi».
Il Sole 24 Ore