Il direttore generale Bonavina ha nominato i dirigenti che l’affiancheranno nel mandato: due donne e un uomo. Chiara Bovo confermata direttore sanitario, l’ex pm Maria Cristina Motta sarà il dirigente amministrativo
Verona. Tre donne e un uomo. Firmando il 28 gennaio le delibere per il conferimento degli incarichi di direttore sanitario, direttore amministrativo e direttore dei servizi sociali, il direttore generale dell’Ulss 20, Maria Giuseppina Bonavina, ha composto la squadra che dal primo aprile l’accompagnerà per il prossimo triennio nella gestione dell’azienda sanitaria cittadina. Partiamo dall’unico uomo: Luigi Frazzingaro, laureato in Medicina e chirurgia e specialista in neurologia e psichiatria presso l’Università degli Studi di Padova, è stato confermato direttore dei servizi sociali. Chiara Bovo, laurea in Medicina, è stata confermata direttore sanitario, incarico che ricopre dal 10 maggio 2010. Una new entry, invece, nella casella di direttore amministrativo. In sostituzione del dottor Luigi Casagrande, che ha deciso di avvicinarsi a casa, Bonavina ha scelto Maria Cristina Motta, già pubblico ministero a Verona che per anni si è occupata di malasanità e malpractice. «La dottoressa Motta prenderà servizio il primo aprile», spiega il direttore generale, che non nasconde la soddisfazione per aver costituito una squadra per tre-quarti rosa. «Una scelta che mi stimola; se capaci di fare squadra, le donne sono capaci di grandi cose. Voglio comunque ringraziare infinitamente il dottor Casagrande per il lavoro svolto con me in via Valverde e augurargli future soddisfazioni». Fiorentina di nascita, entrata in magistratura nel 1989, dopo incarichi in pretura in Piemonte è stata sostituto procuratore a Verona fino al dicembre 2010. Dal gennaio 2011 invece ha ricoperto il ruolo di giudice presso il Tribunale civile di Padova. «Dopo quasi 25 anni in magistratura», commenta Monta, «ho ritenuto fosse arrivato il momento di un cambiamento radicale nella mia vita, a livello personale e professionale. Il peso di dover decidere delle sorti di un essere umano cominciava a farsi troppo opprimente. Meglio occuparsi di sanità da un altro punto di vista, con un altro approccio, con minori ricadute emotive. E poi la prospettiva di lavorare gomito a gomito per tre anni con altre due donne mi stimola moltissimo».
L’Arena – 7 febbraio 2013