«Non ho remore a dirlo ma credo che questa volta Zaia abbia ragione. Quando sollecita il Governo a emanare dei parametri più rigorosi per i Pfas nell’acqua va ascoltato. La delibera adottata dal Veneto, che fissa a 90 nanogrammi litro i valori di Pfoa e a 30 nanogrammi quelli dei Pfos, va estesa a tutto il territorio nazionale e spero che i ministeri dell’Ambiente e della Salute accolgano l’appello. Ne dovremo parlare con l’Ue, ma una decisione va presa».
Ermete Realacci, deputato Pd, presidente della commissione Ambiente della Camera, oggi sarà in Veneto per un incontro alla Fassa Bortolo sui temi della Green Economy e poi in serata incontrerà i sindaci della “zona maledetta” dai Pfas. 300 mila persone tra Vicenza, Verona e la Bassa Padovana costrette a vivere con i veleni nel sangue che attendono un intervento radicale, con i tre acquedotti da rifare ex novo per poter bere acqua non contaminata. I filtri voluti da Arpav e Regione e installati sui pozzi e sugli impianti stanno dando dei risultati molto positivi, ma non ci si può fermare.
Onorevole Realacci, ma questi 80 milioni promessi dal Governo quando arriveranno in Veneto?
«I tempi tecnici della politica a volte stridono con le emergenze sanitarie, non c’è nessun balletto su quei 100 milioni che il Governo ha già stanziato per la bonifica dell’area contaminata da Pfas e i tre nuovi acquedotti da realizzare in tempi rapidi. Ho l’impressione però che l’orizzonte vada allargato oltre il Veneto».
In che senso e dove?
«Ho sentito il direttore dell’Agenzia ambientale del Friuli Venezia Giulia e mi ha riferito che hanno trovato tracce del composto e cercano di capire le dimensioni del fenomeno. Purtroppo i Pfas come sostanze inquinanti sono state ignorate per decenni. E invece dovremmo aprire monitoraggi non solo in Veneto ma in Lombardia Piemonte, Lazio, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Valle d’Aosta Puglia, Emilia Romagna e le province autonome di Trento e Bolzano. Serve un atto di assoluto coraggio».
Mezza Italia sotto osservazione, ci sono altre Miteni che spaventano?
«Per fortuna no. E mi piacerebbe capire cosa c’è dietro a quella vendita per 1 euro della Miteni nel 2009. La Mitsubishi sapeva quale disastro si nascondeva a Trissino e se n’è sbarazzata in fretta ma ci sono tutte le condizioni perché chi ha sbagliato paghi fino in fondo anche se le responsabilità sono lontane nel tempo. Si tratta di capire come abbiano potuto occultare le scorie: i primi allarmi risalgono a 15 anni fa. Greenpeace e Legambiente hanno svolto un eccellente lavoro di denuncia, ora bisogna risalire alla catena della proprietà di Miteni ed è un lavoro molto complicato che porta in Lussemburgo. La magistratura si deve concentrare e utilizzare gli strumenti legislativi per punire chi ha inquinato e rovinato la salute».
Difficile ottenere vera giustizia in Italia, onorevole Realacci: nel concreto cosa si può fare prima del colpo di spugna della prescrizione?
«Vado orgoglioso per aver fatto approvare la legge sugli ecoreati che blocca la prescrizione e consente alla magistratura di applicare norme severissime: si introducono i reati di disastro ambientale, di impedimento al controllo e di omessa bonifica da adottare al caso Miteni. Prima esistevano fattispecie ridicole, che portavano al colpo di spugna. Il disastro ambientale era classificato come “disastro innominato”, l’inquinamento un “ getto pericoloso di cose”».
Perché si è chiuso gli occhi per decenni?
«Il processo è sempre lo stesso: l’assoluta sottovalutazione dai danni alla salute causati non solo dai Pfas ma da tante altre sostanze chimiche. Penso al Ddt, all’amianto, al cloruro di vinile la cui pericolosità è stata occultata per decenni. Nell’Ottocento hanno scritto un saggio per spiegare che il fumo di Londra prodotto dal carbone faceva bene, ora sappiamo che lo smog causa il tumore ai polmoni. C’è di che riflettere. Oggi il nuovo allarme è la Cina ma Xi Jinping, segretario del Pcc, nell’ultimo congresso ha citato per 89 volte la parola ambiente e quasi mai comunismo. Quindi Pechino sta pensando di correre ai ripari e di pulire l’aria. Ma anche l’Italia ha dei capolavori. Nel 1962 quando si parlava del Prg di Venezia e della zona industriale di Marghera la Cisl scriveva che “sono previsti degli impianti con fumo, polvere ed esalazioni dannose alla vita umana, che scaricano nell’acqua sostanze velenose che producono forti vibrazioni e rumori”. Insomma, l’hai scritto che stavi per avvelenare la laguna: purtroppo era il prezzo da pagare per lo sviluppo dell’economia. C’era la piena consapevolezza dei disastri che si stava creando, ora bisogna girare pagina puntando sulla qualità della Green economy».
Come se ne può uscire in tempi rapidi?
«Vanno premiate le aziende che producono nel rispetto dell’ambiente con l’innovazione tecnologica. Facciamo un esempio concreto. A Vicenza esiste il distretto della concia nel mirino per gli scarichi industriali. Credo si possa replicare quanto di positivo è stato realizzato a Santa Croce in Toscana: per salvare l’Arno hanno introdotto dei limiti molto rigidi agli scarichi industriali e le aziende sono state costrette a introdurre tecnologie sofisticatissime per trattare gli acidi. E nel giro di pochi anni producono le pelli più belle e moderne del mondo che cambiano bugnato, colore e morbidezza, tanto che hanno una posizione dominante sul mercato. Se ne sono accorti i cinesi che fanno affari d’oro con la concia di Santa Croce della Toscana».
Il Veneto è in ritardo?
«È un errore tremendo mettere il Veneto contro il Governo e viceversa, la salute è un valore assoluto che va difeso. Quindi basta con le polemiche. Forse ci sono stati dei ritardi nella comprensione dei rischi ma giriamo pagina e collaboriamo. Io credo che la delibera di Zaia che abbassa il livello dei Pfas a 30 microgrammi litro debba essere introdotta in tutta Italia. Poi va creato un tavolo permanente perché di fondi stanziati dispersi nei rivoli è piena l’Italia. Il Veneto con una scelta coraggiosa ha aperto la strada di massima tutela della salute e ha anticipato il principio base dei Lepta, che sono i livelli essenziali di prestazioni tecniche ed ambientali per garantire lo stesso standard da Bolzano a Palermo. I Pfas sono il primo banco di prova. Basta con le polemiche, l’acqua la bevono tutti».
Il Mattino di Padova – 6 novembre 2017