I grandi gruppi italiani privati «battono» quelli pubblici per crescita, esportazioni e redditività mentre le aziende che fanno capo allo Stato sono sempre le più generose nei dividendi. È questa la fotografia che risulta dal 41esimo annuario R&S Mediobanca sui primi 50 big quotati dell’industria e della finanza.
Rapporto dal quale emerge che a un lavoratore medio occorrono 31 anni per guadagnare come il proprio consigliere delegato, mentre ne sono necessari 43 se il capo azienda è anche direttore generale o 37 se è anche presidente. Nelle top industriali ci sono tuttavia differenze di gran lunga più ampie. Nel caso-record un dipendente medio dovrebbe lavorare 1.227 anni per eguagliare i compensi fissi e variabili incassati in un anno dal proprio «numero uno». E nella hit parade al secondo posto il multiplo di anni è pari a 582, al terzo 525, seguono quindi 234, 232, 165, 155, 111 anni e così via. Nel 2015 le figure apicali dei big industriali italiani hanno percepito in totale compensi per 256,8 milioni .
Tornando ai bilanci, i maggiori gruppi industriali italiani hanno perso il 5% dei ricavi sul 2014 (1,1% senza cessioni), il 4,2% sul mercato domestico e il 5% all’estero. Ma i big viaggiano sempre più a due velocità. Il settore pubblico (anzitutto energetico) accusa una contrazione del 16,1%, che sarebbe stata «limitata» al 9,7% senza le dismissioni. I privati invece aumentano i ricavi del 7,5%. La manifattura si conferma il motore del made in Italy: cresce del 10,3%, ma con grandi differenza nella geografia: sale dell’1,8% il fatturato domestico, mentre fa un balzo dell’11,1% quello all’estero. Le maggiori performance nei ricavi si registrano nei settori tipici della nostra manifattura: moda, meccanica e grandi opere: così Moncler cresce del 26,8%, Brembo del 16,2%, il gruppo Luxottica del 15,5% ed Exor del 13,5%. Primo gruppo pubblico per crescita è Poste con una variazione del 10,1%. Sono in coda invece Eni, con un calo del 38,3% e (27,3% senza dismissioni) ed Edison, con un dieta del 6,8%. I top exporter sono Luxottica, con una quota sui ricavi pari al 96,6%, Pirelli (94%) , Exor (93,2%). Poi Danieli (92,8%) e Prada (88,9%).
Anche per quanto riguarda l’occupazione il pubblico «cede» il 14,8% dei dipendenti, il 37,9% all’estero e il 4,3% in Italia, mentre i privati aumentano i posti di lavoro del 9,7%, però tutti fuori dai nostri confini (12%). Cresce poi la distanza nella redditività industriale: nel 2015 nei privati è doppia rispetto al pubblico: 12,4% contro 6,8%. Restano nel pubblico i top per dividendi: dal 2011 al 2015 lo Stato ha riscosso 12,8 miliardi contro i 6,9 incassati dai privati. Il record è sempre dell’Eni con 5,6 miliardi, seguita da Enel (2,3), Poste (1,6) e Snam (1,3). In testa fra i privati Luxottica (1,2 miliardi) e Prada (1,0). Infine il focus sui consigli: resta invariata l’età media dei componenti a 58 anni e aumenta la “quota rosa” dal 26 al 30%. Nei board pubblici è maggiore la presenza femminile (35%) e l’eta? media è piu bassa (55 anni). Le posizioni apicali? Solo il 12% è «rosa».
Sergio Bocconi – Il Corriere della Sera – 9 agosto 2016