Un’Italia con una spesa sanitaria in continua discesa e ormai «ampiamente al di sotto» della media degli altri paesi ad alto reddito. Un paese in cui un cittadino su dieci non ha la possibilità di curarsi i denti. In cui si vive a lungo ma si invecchia male, anche perché l’assistenza agli anziani è di livello inferiore rispetto ad altri Paesi dell’area. In cui la spesa farmaceutica ha la cinghia stretta ma l’uso dei generici è ancora modesto. È questo il ritratto che emerge dal rapporto Ocse sulla salute 2015 «Health at a Glance 2015, Oecd indicators».
Un italiano su dieci non si cura i denti
E la crisi colpisce il diritto alla salute. In Italia una persona su 10 rinuncia alla cura dei denti per motivi economici. E in Europa il 3% della popolazione europea ha bisogni di cura insoddisfatti. Tuttavia, la cura dei denti è un evidente lacuna, specie per il nostro paese. Sempre per motivi economici e in nome di un sistema sanitario più sostenibile, in Italia sono diminuiti anche i posti letto per l’assistenza a lungo termine, che nel 2013 risultano ben al di sotto della media europea.
Maglia nera sui parti cesarei
L’Italia continua a detenere il poco ambito primato dei parti cesarei che, seppur diminuiti, riguardano ancora più del 36% delle nascite. In generale, gli interventi di parto cesareo sono aumentati in quasi tutti i paesi dell’Ocse, passando dal 20 per cento nel 2000 a 28 per cento nel 2013. I motivi sono i più disparati: dall’aumento dell’età delle mamme alle nascite multiple per via della procreazione assistita, fino alla tendenza dei medici di optare per l’intervento chirurgico per ridurre eventuali responsabilità.
Ai vertici mondiali dell’obesità infantile
In Italia, “i tassi di sovrappeso e obesità tra i bambini sono tra i più alti al mondo”. Secondo l’Ocse un “fattore di rischio in espansione”, in uno dei Paesi simbolo della dieta mediterranea. Tra i bambini italiani fino ai 9 anni, il tasso di sovrappeso rilevato è del 36% per i maschi e del 34% per le femmine, rispettivamente 11,7 e 11,9 punti percentuali in più della media Ocse. Un dato che mette il nostro Paese al quinto posto tra i membri dell’organizzazione, dietro solo a Grecia, Gran Bretagna, Usa e Nuova Zelanda. È inoltre aumentata la percentuale di quindicenni che dichiarano di essere in sovrappeso, dal 14% del 2001 al 17% del 2010.
Longevi sì ma in cattiva salute
Gli italiani vivono molto a lungo, anche rispetto ad altri Paesi occidentali, ma spesso la loro salute in età avanzata non è buona. L’Italia è quarta tra i Paesi membri dell’organizzazione per aspettativa di vita, con 82,8 anni. “Tuttavia, gli indicatori di salute all’età di 65 anni sono peggiori di quelli di altri Paesi Ocse” spiega lo studio, precisando che l’aspettativa di vita in buona salute per i sessantacinquenni italiani è in media di “7 anni senza disabilità per le donne e circa 8 per gli uomini”, sesta più bassa tra i membri Ocse. La causa di questo scarto, ha spiegato la responsabile della divisione Sanità dell’Ocse Francesca Colombo presentando il rapporto alla stampa, deriva in gran parte dal fatto che «l’assistenza alla popolazione che sta invecchiando non è allo stesso livello di quella di altri Paesi», e in particolare «la qualità delle cure di lunga durata, e del monitoraggio dei pazienti, è meno buona ed estesa che altrove». A ciò si aggiungono alcuni fattori di rischio presenti in tutta la popolazione, come «l’aumento dell’obesità», e in alcune aree «una difficoltà di accesso alle cure specialistiche».
La dieta dei posti letto
Nel 2013, secondo il report, sono stati calcolati nel nostro paese 18,9 posti letto per l’assistenza a lungo termine per mille abitanti, quando la media Ocse è di ben 49,7 per mille abitanti. In calo anche i posti letto ospedalieri. Si tratta però di una tendenza che riguarda la maggior parte dei paesi Ocse: si è passati infatti da una media di 5,5 per 1000 abitanti del 2000 a 4,8 nel 2013. In Italia il numero dei posti è diminuito raggiungendo i 3,4 per 1000 abitanti. «Questa riduzione – si legge nel report – è stata guidata in parte dai progressi della medicina». Questi, infatti, hanno per messo di aumentare le prestazioni in day surgery, riducendo la necessità dei ricoveri ospedalieri.
Stretta sui farmaci ma pochi generici
La spesa sanitaria (pubblica e privata) in Italia nel 2013 è diminuita del 3,5% in termini reali, registrando il terzo anno consecutivo di calo, e si è ulteriormente ridotta dello 0,4% nel 2014. Un livello pari all’8,8% del Pil, di cui poco meno del 7% di spesa pubblica. All’origine un mix di misure di contenimento della spesa concentrate in particolare sul fronte farmaceutico, con il netto aumento dell’uso dei farmaci generici. Malgrado ciò, il nostro Paese resta terzultimo nell’area Ocse per quota di mercato di questi farmaci, con il 19% in volume e l’11% in valore.
Farmaci innovativi , un rebus globale
L’area Ocse fa i conti con i nuovi farmaci, che faranno lievitare la spesa farmaceutica «se non si procede a un adeguamento delle misure governative previste in materia». Nell’area, la spesa farmaceutica si è attestata a circa 800 miliardi di dollari statunitensi nel 2013, che equivalgono a circa il 20% della spesa sanitaria totale media, se all’acquisto di farmaci nel settore al dettaglio si somma il consumo di farmaci in ambito ospedaliero. E l’aumento degli esborsi per le pillole in corsia è una tendenza che riguarda quasi tutti: nella maggior parte dei Paesi infatti la spesa farmaceutica al dettaglio è cresciuta meno negli ultimi anni, mentre generalmente è aumentata la spesa farmaceutica ospedaliera. E l’arrivo di nuovi costosi farmaci destinati a problemi di salute complessi pone al centro del dibattito la sostenibilità a lungo termine e l’efficienza della spesa farmaceutica.
Speranza di vita in salita: indietro Sud Africa e Federazione Russa
La speranza di vita continua ad aumentare di 3-4 mesi l’anno ma le disuguaglianze restano, sia tra Paesi diversi sia tra gruppi sociodemografici. Nel 2013, la speranza di vita alla nascita era in media di 80,5 anni, con un incremento di oltre dieci anni dal 1970. Giappone, Spagna e Svizzera sono in testa, in un gruppo di otto Paesi dell’Ocse in cui la speranza di vita supera gli 82 anni.
Trend positivi anche nelle principali economie emergenti come India, Indonesia, Brasile e Cina. Restano indietro invece il Sud Africa (scarsa progressione principalmente ascrivibile all’epidemia di Hiv/Aids) e nella Federazione Russa (scarsa progressione principalmente ascrivibile a comportamenti maschili che aumentano i rischi per la salute).
In generale le donne possono sperare di vivere 5 anni di più rispetto agli uomini, ma questo divario è diminuito di 1,5 anni dal 1990. In media, le persone con un più alto livello d’istruzione possono aspettarsi di vivere sei anni in più rispetto a persone con un livello più basso d’istruzione. Questa differenza è particolarmente marcata per gli uomini, con un divario medio di quasi otto anni.
Medici e infermieri: mai così tanti
Dal 2000, il numero di medici e di infermieri è aumentato in quasi tutti I Paesi Ocse sia in termini assoluti sia in base percentuale pro capite. La crescita è stata particolarmente rapida in alcuni dei Paesi che nel 2000 avevano meno medici rispetto agli altri (ad esempio: Turchia, Corea, Messico e Regno Unito), ma si è registrato un forte aumento anche nei Paesi che si potevano già avvalere di un numero relativamente cospicuo di medici (ad esempio Grecia, Austria e Australia). La crescita è stata trainata da un aumento delle ammissioni di studenti nei programmi nazionali d’istruzione medica e infermieristica, nonché da un maggior numero di medici e di personale infermieristico formati all’estero che lavorano nei Paesi Ocse rispondendo a esigenze di breve termine. In media si contano più di due medici specialisti per un medico generico. E in numerosi Paesi, la lenta crescita del numero dei medici generici desta preoccupazioni circa l’accesso alle cure primarie per tutta la popolazione.
L’accesso alle cure alla prova della crisi
Tutti i Paesi Ocse hanno un regime di copertura sanitaria universale per un insieme di servizi essenziali, eccetto Grecia, Stati Uniti e Polonia. In Grecia la crisi economica ha condotto a una perdita della copertura assicurativa sanitaria per i disoccupati di lungo termine e per molti lavoratori autonomi. Tuttavia, da giugno 2004, sono state prese misure per fornire alla popolazione priva di assicurazione un accesso ai farmaci prescritti e alle cure di pronto soccorso. Negli Stati Uniti, la percentuale della popolazione senza assicurazione è diminuita dal 14,4% nel 2013 all’11,5% nel 2014, a seguito dell’applicazione dell’Affordable Care Act e si prevede che la quota di popolazione non assicurata diminuisca ulteriormente.
In media circa il 20% della spesa sanitaria è sostenuta direttamente dai pazienti. La spesa a carico delle famiglie varia da meno del 10% in Francia e nel Regno Unito, a oltre il 30% in Messico, Corea, Cile e Grecia. In Grecia, la quota della spesa sanitaria finanziata direttamente dalle famiglie è aumentata di 4 punti percentuali dal 2009, aumento che ha coinciso con la riduzione della spesa pubblica.
Le famiglie a basso reddito sono da quattro a sei volte di più propense a riportare esigenze non soddisfatte per le cure mediche e dentistiche per motivi finanziari o altri, rispetto alle famiglie con un reddito elevato. In alcuni Paesi, come la Grecia, è più che raddoppiata la quota della popolazione che dichiara di non avere accesso alle cure mediche necessarie durante la crisi economica.
Il Sole 24 Ore sanità – 4 novembre 2015