L’esperienza della pandemia e i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sembrerebbero aver segnato una svolta per il Servizio sanitario nazionale (Ssn). La narrazione più diffusa parla degli ingenti finanziamenti che il Pnrr destina alla sanità e della ridefinizione di alcune policy fondamentali: dalla riorganizzazione della rete territoriale dei servizi alla diffusione della telemedicina; dall’aumento dei posti nei corsi universitari di Medicina e Chirurgia al potenziamento del Fascicolo sanitario elettronico.
Molti dei trend innescati dalla pandemia – dall’aumento della spesa pubblica in sanità all’assunzione di nuovo personale – si sono però già invertiti, o quantomeno hanno rallentato, avverte il Rapporto Oasi 2022 (Osservatorio sulle aziende e sul Sistema sanitario italiano) del Cergas Bocconi, appena presentato. «L’incidenza della spesa Ssn sul Pil, al 7,2%-7,3% nel 2021, è prevista in discesa al 7% nel 2022 e al 6% nel 2025, mentre gli ingressi stabili di personale del 2020 sono stati in buona parte compensati dalle uscite per pensionamenti, dovuti all’elevata età media dei dipendenti Ssn», afferma Francesco Longo, responsabile scientifico del Rapporto.
Il tasso di copertura dei bisogni dei pazienti non Covid, inoltre, è ulteriormente sceso con liste di attese ancora più lunghe sia per i ricoveri, sia per l’attività ambulatoriale.
Alla luce dei dati di finanziamento, lo stesso Pnrr, in sanità, non potrà che concretizzarsi in un piano di riorganizzazione e riallocazione delle risorse, anziché in un intervento di espansione e ammodernamento. Il piano prevede 20 miliardi di investimenti in sanità in 6 anni, dunque 3,3 miliardi all’anno, ovvero meno del 3% dei 130 miliardi di spesa sanitaria corrente annua, chiarisce il Rapporto.
«In definitiva – afferma il coordinatore del Rapporto, Alberto Ricci – l’evoluzione demografica fa presagire un gap crescente tra risorse e bisogni e presenta problemi politicamente scomodi, perché qualsiasi risposta si voglia individuare, risulta poco consolatoria e quindi fisiologicamente impopolare».
Nel 2021 si sono registrati 7 neonati e 12 decessi per mille abitanti; nel corso dell’anno il calo della popolazione italiana è stato di 253.000 unità, spiegato solo in parte minore dai 59.000 decessi causati dal Covid. La bassissima natalità (1,25 figli per donna: ne servirebbero 2,2 per tenere la popolazione stabile) e l’alta speranza di vita (82 anni) comportano un’incidenza degli anziani già al 24% (14 milioni, di cui i non autosufficienti sono 3,9 milioni, 6,6% della popolazione). «Questo squilibrio determina un progressivo e sistematico drenaggio di risorse fiscali a favore della spesa pensionistica, erodendo nel tempo lo spazio per i servizi pubblici reali, tra cui la sanità – afferma ancora Ricci – e la situazione non potrà che peggiorare, se pensiamo che il rapporto tra lavoratori attivi (occupati) e pensionati, oggi a 10:6, nel 2050 potrebbe raggiungere la parità».
Di fronte a questo scenario, il Pnrr prevede in larga misura la realizzazione di infrastrutture e l’acquisizione di tecnologie. «Nessuna indicazione è proposta in merito al service re-design, alla reingegnerizzazione dei processi professionali, allo sviluppo di nuove competenze professionali – dice Longo -. A riempire queste caselle sono allora chiamati, senza che ciò venga esplicitamente dichiarato, le aziende sanitarie e i loro manager. La crescente divaricazione tra narrazioni e conseguenti aspettative e le reali possibilità sul campo a causa della ristrettezza delle risorse finanziarie e umane comporta la necessità, dolorosa e difficile, di definire priorità, che il livello centrale evita di presidiare e definire. Il management è chiamato contemporaneamente a interpretare la realtà a partire dalle evidenze, a definire delle scelte strategiche e a provare ad attuarle. E in tal senso la probabilità di successo delle innovazioni di servizio è spesso dipendente dalle capacità di motivare e spiegare il cambiamento a cittadini, pazienti, enti locali e realtà sociali dei singoli territori».