«Per il Servizio sanitario nazionale italiano, la sostenibilità nel tempo rischia di divenire un’utopia». A definire questo futuro sono i modelli previsionali sviluppati da Meridiano Sanità – The European House Ambrosetti, presentati oggi a Roma nell’ambito del convegno «Sanità e salute in Italia in un contesto di crisi economica: la direzione per la crescita».
Il default economico, secondo l’analisi, è un rischio concreto nel prossimo futuro. In meno di quarant’anni la spesa sanitaria pubblica dovrebbe diventare più del doppio dell’attuale, raggiungendo circa 261 miliardi di euro contro i 112,7 attuali (nel 2012 per la prima volta in diminuzione in termini assoluti). Non considerando l’evoluzione epidemiologica, e quella tecnologica, ma solo l’evoluzione demografica.
Al contrario i vincoli di finanza pubblica, in un periodo di recessione, hanno comportato nel periodo dal 2010 al 2014, tagli alla sanità pubblica per 24,4 miliardi di euro a cui si potrebbero aggiungere gli ulteriori tagli previsti nel disegno di legge di stabilità per un totale di 26 miliardi complessivi. «Nell’utopia di garantire il mantenimento degli stessi livelli di assistenza su tutto il territorio nazionale».
L’Italia sempre più lontana dall’Europa
Il rapporto spesa sanitaria/Pil in Italia, secondo l’analisi, evidenzia un gap di spesa molto rilevante con gli altri Paesi europei che, nella spesa pubblica pro capite, è ancora più significativo. L’Italia spende per ogni cittadino circa il 30% in meno rispetto alla Germania, il 23% rispetto alla Francia e il 16% rispetto al Regno Unito. Se poi si considerano le stime di crescita del Pil italiano nei prossimi 5 anni – nettamente inferiore agli altri Paesi europei – questo trend porterà presumibilmente il gap della ‘spesa sanitaria disponibile’ per ciascun cittadino italiano, a scendere del 35% rispetto ai tedeschi, del 30% rispetto ai francesi e del 25% rispetto agli inglesi, ovvero una differenza che si aggira tra i 650 e i 1000 euro pro capite, a parità di potere d’acquisto.
Sulla scorta di queste rilevazioni, la salvaguardia del Servizio Sanitario Nazionale può essere garantita agendo su tre diverse direttrici:
• organizzazione
• innovazione e sviluppo
• integrazione
Industria farmaceutica: un’opportunità del Paese
In questo contesto l’industria farmaceutica che opera e investe in Italia secondo M;eridiano, può rappresentare senza dubbio una importante leva per la crescita del Paese.
L’Italia attualmente il secondo produttore di farmaci in Europa, rischia, invece, di vedere ridotta sensibilmente la presenza di un settore produttivo ad alta tecnologia di assoluto valore per l’economia italiana:
• 65.000 dipendenti, il 90% dei quali laureati o diplomati;
• 165 impianti produttivi che garantiscono 25 miliardi di produzione annua, di cui il 61% destinato all’export
• 2,4 miliardi di investimenti annui in produzione e ricerca
E’ necessario quindi – come emerso dal Forum Meridiano Sanità 2012 – garantire sempre di più, in un quadro normativo stabile, gli investimenti in ricerca e produzione e l’innovazione, che rappresenta il valore fondante dell’industria farmaceutica. Due elementi che contribuiscono rispettivamente alla crescita economica e al miglioramento delle terapie e di conseguenza della qualità della vita dei pazienti, riducendo in molti casi i costi della sanità. Per molte patologie infatti l’accesso a farmaci innovativi e più efficaci può abbattere la necessità di cure ospedaliere.
Dal punto di vista economico il rapporto mette in evidenza in particoalre che nei dodici mesi che sono trascorsi dalla precedente edizione di Meridiano Sanità, la situazione economica mondiale non è migliorata. La crisi dell’Eurozona si è ulteriormente deteriorata, anche a causa del circolo vizioso che si è creato tra la situazione delle banche, del debito sovrano e dell’economia reale che ha portato a livelli record i costi del finanziamento dei titoli di stato e il conseguente premio sul rischio.
Le stime per il 2012 indicano che l’Italia presenta il terzo rapporto debito/Pil nei Paesi avanzati: 126%.
L’evoluzione dell’indebitamento è sostanzialmente legata a due determinanti: l’andamento del saldo (avanzo o disavanzo) primario, ossia la differenza tra entrate ed uscite (escludendo la spesa per interessi) e la spesa per interessi che dipende dallo stock di debito.
Tra le principali economie avanzate, l’Italia è anche uno dei Paesi con la pressione fiscale più elevata. Il rapporto entrate/Pil nel 2011 ammontava al 46% contro il 36,8% del Regno Unito o il 31,4% degli Stati Uniti. Un’elevata tassazione ha effetti distorsivi sui comportamenti degli agenti economici, in quanto disincentiva il lavoro e rende le imprese meno competitive a livello internazionale. Allo stesso tempo, un livello di tassazione troppo elevato può portare al paradosso di ridurre il gettito fiscale, in quanto l’economia tende a contrarsi e l’evasione fiscale viene incentivata.
Le analisi condotte dalla ricerca Ambrosetti-Club «Come ridurre il Debito Pubblico italiano: il piano d’azione» dimostrano che la continua crescita del rapporto debito/Pil negli ultimi 20 anni è strettamente legata all’ingente spesa per interessi connessi alla dimensione dello stock del debito.
Per completare lo scenario economico-finanziario della situazione dell’Europa e dell’Italia è utile considerare le previsioni di crescita economica de prossimi anni.
Nel 2012 il Pil dell’Eurozona subirà una contrazione pari allo -0,4%; in Italia si prevede una recessione ben più accentuata pari al -2,3%.
Le previsioni per il 2013 e il 2014 indicano una crescita del Pil dell’Eurozona pari allo 0,2% e all’1,2%. All’interno di questo contesto, si prevede che il Pil italiano cali dello 0,7% nel 2013 e cresca dello 0,5% nel 2014. Anche per il tasso di disoccupazione dell’Eurozona si prevede un aumento “dall’11,2 all’11,5%”; l’Italia passerà dal 10,6% all’11,1%.
L’incertezza politica ed economica sul futuro dell’Eurozona ha colpito, secondo il rapporto, in modo particolarmente duro l’Italia, costretta ad interventi volti a garantire il rispetto degli obblighi comunitari ed a realizzare gli obiettivi di finanza pubblica.
Alle necessarie azioni di contenimento della spesa pubblica (spending review) e riforma del welfare sono stati affiancati gli strumenti previsti dal decreto Balduzzi, dal decredo Sviluppo e dal disegno di legge stabilità. Tuttavia, effetti apprezzabili dal punto di vista della crescita economica non potranno registrarsi nel breve periodo.
In questo contesto di incertezza e altrettanta interdipendenza dei fenomeni mondiali, si inseriscono le riflessioni sulla spesa sanitaria, nella consapevolezza che la sanità, una voce importante della spesa pubblica, rappresenta anche un ammortizzatore sociale, in un Paese in cui sono 8,3 milioni i cittadini che vivono in povertà, quasi 15 milioni i cittadini a rischio di povertà o esclusione sociale (pari al 24,7% della popolazione contro il 21,2% dell’area Euro) e il tasso di disoccupazione giovanile, fra i giovani di 15 e 24 anni, è pari 36,2%4.
La sanità è inoltre un comparto che vede la presenza di settori industriali ad alto valore aggiunto, occupazione qualificata e attività di R&S che possono essere motore di sviluppo per il Paese, che deve riprendere a crescere.
Le dinamiche demografiche di invecchiamento della popolazione, i costi crescenti legati all’evoluzione della medicina e delle tecnologie sanitarie, l’evoluzione del quadro epidemiologico caratterizzato dall’esplosione delle cronicità da un lato e la crisi economico-finanziaria e i vincoli di finanza pubblica dall’altro, pongono nell’agenda di tutti i Governi dei Paesi europei la priorità della gestione sostenibile della spesa sanitaria e, più in generale, dell’intero modello di welfare.
Nel corso degli ultimi dieci anni si è assistito ad una dinamica di crescita sostenuta della spesa sanitaria pubblica nei Paesi ad economia avanzata (crescita media annua pari a 4,8% tra il 2000 e il 2009 nei Paesi Ocse) che ha subito solo negli ultimi tre anni un rallentamento legato alla crisi economica-finanziaria e alle conseguenti manovre di contenimento della spesa e riequilibrio dei conti pubblici.
La spesa sanitaria in Italia è cresciuta ad un ritmo inferiore di due punti percentuali rispetto alla media Ocse (2,8%), ma con tassi maggiori del PIL, che hanno portato ad un aumento del rapporto spesa/PIL fino al 7,3% nel 2010, poi calato al 7,1% nel 2011.
Il rapporto spesa sanitaria/PIL in Italia è leggermente inferiore alla media Ocse, ma è soprattutto confrontando la spesa sanitaria pubblica pro capite, espressa a parità di potere d’acquisto, tra le maggiori economie europee che si evidenzia un gap di spesa molto rilevante con gli altri Paesi, pari a circa il 30% nei confronti della Germania, il 23% rispetto alla Francia e il 16% con il Regno Unito.
Se poi si considerano le dinamiche di crescita economica attesa nei prossimi 5 anni attraverso le stime fornite dal Fondo Monetario Internazionale, l’Italia potrà contare su un tasso di crescita medio annuo del PIL reale nettamente inferiore agli altri Paesi (0,3% all’anno rispetto all’1,5% circa per gli altri Paesi citati). Questo trend porterà presumibilmente il gap della “spesa sanitaria disponibile” per ciascun cittadino italiano fino a circa il 35% rispetto ai tedeschi, al 30% rispetto ai francesi e al 25% rispetto agli inglesi, ovvero tra circa 1.000 e 650 euro pro capite a parità di potere d’acquisto.
La sanità pubblica è una voce di spesa che assume un peso molto rilevante nei conti pubblici e, soprattutto negli ultimi anni, è già stata sottoposta in Italia a tagli consistenti. Tuttavia, non va dimenticato che il comparto della salute rappresenta anche un importante ammortizzatore sociale in un Paese, come l’Italia, in cui circa il 25% della popolazione vive a rischio di povertà o di esclusione sociale e il tasso di disoccupazione tra i giovani è del 36%, nonché un settore ad alta intensità di conoscenze e innovazione, soprattutto con riferimento all’industria farmaceutica, su cui l’Italia dovrebbe puntare di più per tornare a crescere.
Alla luce del contesto sopra descritto, è obbligatorio porsi una domanda:
In che modo possiamo continuare a garantire l’esistenza del Servizio sanitario nazionale, almeno nella sua impostazione e filosofia di base?
Le 10 proposte di Meridiano Sanità 2012
Rivedere le scelte di allocazione delle risorse pubbliche attraverso una ridefinizione dell’assetto organizzativo del Ssn.
1) Rivisitare i Livelli Essenziali di Assistenza in funzione delle priorità di salute dei pazienti e secondo i principi della medicina basata sulle evidenze scientifiche, secondo le logiche di Health Technology Assessment.
La definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), come indicato nel Piano Sanitario Nazionale 1998-2000, è ” […]un obiettivo socialmente e tecnicamente molto complesso, nonché in continuo divenire, in quanto deve tenere conto del progresso scientifico e della innovazione tecnologica che influenzano le valutazioni di efficacia e di appropriatezza delle prestazioni”.
Il contesto sopra descritto di limitatezza delle risorse pubbliche disponibili per il finanziamento della sanità da un lato e i costi associati all’evoluzione dell’epidemiologia e agli sviluppi scientifici e tecnologici dall’altro, rimettono in primo piano il tema delle prestazioni essenziali.
A ciò si aggiungono le considerazioni sulla effettiva mancanza di omogeneità nell’applicazione dei LEA nelle varie realtà regionali, che di fatto genera disparità e iniquità per i cittadini.
Già il recente Decreto Balduzzi (D.L. n. 158/2012, “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute”, ottobre 2012) riprende il tema della necessità di rimodulare i Lea con riferimento alla ridefinizione dell’elenco delle malattie croniche e delle malattie rare al fine di assicurare il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze.
E’ quindi necessario, soprattutto in questo specifico momento storico, rinnovare il perimetro dei LEA, considerando gli ambiti sanitari e sociosanitari in ottica sistemica, secondo i principi di una buona HTA e con una visione dinamica, che segua l’evoluzione dei bisogni di salute.
2) Accelerare il processo di deospedalizzazione già avviato, attraverso:
• l’erogazione di prestazioni sanitarie nei setting assistenziali più adeguati (day hospital, day surgery, ambulatorio);
• nuove forme di organizzazione dei servizi;
• riconversione dei posti letto per acuti in eccesso.
Negli ultimi anni in tutti i sistemi sanitari dei Paesi sviluppati, incluso l’Italia, è in atto un processo finalizzato a trasferire progressivamente prestazioni sanitarie dall’assistenza ospedaliera a quella extra-ospedaliera. I progressi della medicina hanno consentito infatti di trasferire molte prestazioni che usualmente venivano erogate in regime di ricovero ospedaliero ordinario in regimi assistenziali diversi come il day-surgery, il day hospital e l’assistenza ambulatoriale, garantendo lo stesso livello di efficacia, qualità e sicurezza per il paziente.
Tuttavia, l’Italia registra ancora tassi di ospedalizzazione elevati, soprattutto in alcune Regioni. Tale situazione nasconde alcune aree di inappropriatezza a cui si associa una carenza dei servizi e delle strutture sul territorio per le cure intermedie e di lungo termine.L’obiettivo di fondo di tale processo di trasferimento di prestazioni sanitarie dall’ospedale ad altre modalità assistenziali riguarda il miglioramento del percorso di cura del paziente, l’incremento dell’efficienza del sistema ed è correlato al ripensamento del ruolo dell’ospedale, che deve tornare ad essere un luogo di cura per acuti.
3) Proseguire nel riordino delle cure primarie secondo le migliori pratiche già implementate in alcune Regioni e le linee guida contenute nel Decreto Balduzzi.
Nella consapevolezza che il processo di deospedalizzazione, se non è accompagnato da un corrispondente e contestuale rafforzamento dell’assistenza sanitaria sul territorio, determina di fatto una impossibilità per i cittadini di beneficiare delle cure, in Italia è in atto anche un processo di riorganizzazione delle cure primarie, soprattutto in alcune Regioni che hanno implementato il Chronic Care Model.
Il recente Decreto Balduzzi, include tra i punti qualificanti del riordino delle cure primarie l’integrazione monoprofessionale e multiprofessionale per favorire il coordinamento operativo tra i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e gli specialisti ambulatoriali secondo modelli individuati dalle Regioni, anche al fine di decongestionare gli ospedali. Inoltre è stabilito il ruolo unico ed accesso unico per tutti i professionisti medici nell’ambito della propria area convenzionale al fine di far fronte alle esigenze di continuità assistenziale, organizzazione e gestione.
Infine si prevede lo sviluppo dell’ICT quale strumento irrinunciabile per l’aggregazione funzionale e per l’integrazione delle cure territoriali e ospedaliere.
4) Favorire lo sviluppo di una rete nazionale di Strutture di eccellenza nella ricerca e assistenza ospedaliera.
Il ruolo dell’ospedale sta cambiando: dotato di sempre meno posti letto concentra in essi i casi più gravi e introduce modelli organizzativi più efficienti diurni per il trattamento dei casi gravati da minori complicanze, nell’ottica di garantire l’efficacia delle prestazioni con efficienza e secondo criteri di economicità.
Il ruolo diviene ancora più complesso se gli ospedali sono sede di attività formativeSolo alcuni ospedali, per dimensioni, per complessità dei casi trattati, per la qualificazione del personale che vi opera, per le attività di ricerca, sono idonei a costituire una rete di strutture di eccellenza che rappresenti una “spina dorsale nazionale” di Strutture.
Tali Strutture devono diventare il punto di riferimento per l’assistenza ai malati con patologie complesse e questo richiede la concentrazione di specialisti e di tecnologie particolari e l’accesso, secondo criteri condivisi, ai fondi della ricerca biomedica e sanitaria.
5) Razionalizzare le dotazioni e diagnostiche
e migliorare l’appropriatezza della domanda di prestazioni.
In tutti i Paesi l’evoluzione scientifico/tecnologica rappresenta un volano della domanda di salute e il numero di dispositivi diagnostici per milione di abitanti negli ultimi 10 anni è più che raddoppiato tra i paesi OCSE.
La rapida crescita nell’utilizzo di queste apparecchiature può nascondere un eccesso di offerta che a sua volta può indurre domanda inappropriata, con le relative conseguenze sulla spesa sanitaria.
Questo sembra particolarmente evidente in Italia, dove ad esempio si registrano 21,6 apparecchiature di Risonanza Magnetica ogni milione di abitanti contro le 7 e le 6 apparecchiature per milione di abitanti rispettivamente in Francia e nel Regno Unito.
Una migliore programmazione e una maggiore efficienza nell’utilizzo delle apparecchiature diagnostiche possono certamente incrementarne la produttività da un lato e portare alla riduzione dell’inappropriatezza della domanda dall’altro e possono condurre ad una riduzione degli sprechi collegati all’attuale situazione di sovradotazione.
6) Definire e condividere i Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali (PDTA) ottimali dal punto di vista clinico ed economico per le principali patologie croniche e favorirne un’implementazione omogenea e diffusa sul territorio nazionale.
La diffusione di fattori di rischio legati a stili di vita scorretti e l’invecchiamento porteranno all’aumento della prevalenza di alcune patologie croniche tra cui tumori, diabete, malattie cardiovascolari e neurodegenerative, che sono destinate a generare una vera e propria esplosione dei costi per la sanità e l’assistenza socio-sanitaria.Definire ed implementare PDTA basati sulle linee guida scientifiche e sulle logiche dell’HTA in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale è indispensabile non solo per garantire ai pazienti il percorso di cura più efficace con le migliori terapie disponibili, ma anche per gestire correttamente queste patologie fin dalle prime fasi della loro manifestazione e prevenire l’insorgenza di complicanze, evitando anche i rilevanti costi sanitari e sociali ad esse connessi.
Eliminare le disparità che penalizzano l’Italia nel confronto europeo in termini di accessibilità delle cure e ridurre le forti disomogeneità regionali presenti nel nostro Paese.
7) Riportare a livello centrale la governance della spesa farmaceutica
attraverso l’istituzione di un fondo nazionale.
L’Italia sconta a livello internazionale rilevanti ritardi nell’introduzione e nella disponibilità effettiva di nuovi farmaci e cure innovative.
Al fine di programmare, governare e monitorare l’utilizzo delle risorse destinate alla farmaceutica secondo i reali bisogni di salute, le politiche di prevenzione e le priorità di intervento definite a livello nazionale è necessario riportare il governo della spesa farmaceutica a livello centrale, affidandolo all’AIFA.
Questo consentirebbe inoltre di impiegare in modo più efficiente le risorse sulla base alle valutazione di costo/efficacia.
8) Eliminare il passaggio di valutazione dei farmaci – già svolto a livello centrale da EMA e AIFA – da parte delle commissioni regionali e locali/ospedaliere per l’immissione all’interno dei prontuari terapeutici.
Il Decreto Balduzzi è già intervenuto su questo fronte, ma esclusivamente per i farmaci innovativi: «Indipendentemente dall’inserimento nei prontuari terapeutici ospedalieri o regionali, le Regioni devono assicurare l’immediata disponibilità agli assistiti dei medicinali ad “innovatività terapeutica” così come definito dell’Accordo Stato Regioni 18 novembre 2010 – secondo il giudizio della Commissione tecnico scientifica dell’Aifa – a carico del Servizio sanitario nazionale ed erogati attraverso gli ospedali e le aziende sanitarie locali».
La valutazione per l’immissione di farmaci all’interno dei Prontuari Terapeutici presenti nelle Regioni comporta l’attività di commissioni che a livello regionale di fatto replicano il lavoro già svolto dall’EMA e dall’AIFA.
Tali attività comportano un rallentamento rilevante per l’accesso alle nuove cure. Ad esempio, per i farmaci con Autorizzazione in Commercio ottenuta nel periodo 2006-2011, si rileva un ritardo medio compreso tra i 217 e i 530 giorni nelle diverse Regioni.
Inoltre, poiché le commissioni possono comprendere fino a 62 operatori per Regione, per un totale di 399 membri coinvolti in tutta Italia, che si riuniscono quasi mensilmente, queste attività assorbono un ammontare di risorse e tempo degli operatori non trascurabile.
Pertanto, l’obiettivo da perseguire è quello di garantire livelli di assistenza uniformi a tutti i cittadini, tempi più rapidi di accesso alle cure e risparmio di risorse.
Rafforzare la sanità integrativa in modo tale da rendere il finanziamento del sistema socio-sanitario più flessibile.
9) Garantire la sostenibilità del sistema sanitario negli anni futuri definendo, in modo coordinato e controllato dal SSN, le prestazioni da coprire attraverso forme di sanità integrativa, in coerenza con i fabbisogni socio-sanitari emergenti (cronicità, Long Term Care, odontoiatria, ecc.).
In Europa i sistemi sanitari che stanno reggendo meglio ai tagli imposti dalla crisi e ai crescenti bisogni socio-sanitari sono quelli organizzati econdo modelli sanitari misti, il cui finanziamento si basa su un sistema multipilastro. In particolare, in tali contesti i cittadini possono far fronte ad aumenti di copayment e a maggiori spese di Long Term Care attraverso lo strumento dei fondi sanitari negoziali (se lavoratori dipendenti) e mutualità (per tutti gli altri cittadini, compresi i pensionati).
Rispetto agli altri Paesi l’Italia presenta una situazione anomala riguardo alla composizione della spesa sanitaria privata, che viene intermediata da fondi e assicurazioni per una quota molto ridotta, pari al 10% circa.
Nel nostro Paese occorre quindi rifocalizzare l’attenzione sul ruolo prioritario di “integrazione” (e non sostituzione) del SSN da parte della sanità integrativa. I fondi integrativi devono fornire in primis prestazioni non sostenibili con i livelli diInoltre, per affrontare in modo integrato l’ambito socio-sanitario, si potrebbero trasformare parte degli attuali contributi monetari dell’indennità di accompagnamento (pari a 13 miliardi di euro) in servizi. Ad esempio si tratta di veicolare una quota dell’indennità attraverso fondi integrativi o società di mutuo soccorso per l’erogazione di prestazioni ad hoc a soggetti non autosufficienti o invalidi, contribuendo anche alla creazione di nuovi posti di lavoro (L’Italia è uno dei Paesi in Europa che ha la quota maggiore di indennità erogate in denaro anziché in servizi).
10) Aumentare la diffusione di forme di sanità integrativa attraverso:
• il completamento della disciplina normativa in materia;
• adeguati incentivi fiscali per le aziende e per i cittadini;
• una migliore definizione della governance dei fondi.
Per aumentare la diffusione di forme sanità integrativa nel nostro Paese (in termini sia di maggior numero e categorie di persone coinvolte che di valore medio della copertura) è necessario intervenire al più presto su alcuni aspetti di definizione delle regole e del funzionamento dei fondi.
È necessario anzitutto completare il quadro di riferimento entro il quale i fondi possano muoversi, con regole trasparenti e armonizzando il profilo fiscale, che risulta ancora frammentato e non omogeneo e introducendo la portabilità dei fondi.
Inoltre, non sono ancora stati emanati i decreti per la regolamentazione del funzionamento dei fondi, l’affidamento in gestione, la definizione della tipologia delle prestazioni che possono essere erogate e l’individuazione degli organismi di vigilanza.
Il sole 24 Ore Sanità – 6 novembre 2012