Un’Italia che soffre, ancora nella palude, che non riesce a guardare al futuro perché chi del futuro dovrebbe essere protagonista se ne va. Ci sono infatti gli oltre 26 mila italiani di 15-34 anni che nel 2012 hanno lasciato l’Italia, 10 mila in più rispetto al 2008, meno di quanti ne sono rientrati (in 5 anni sono andati via quasi 100 mila giovani). Ci sono quei figli che, dopo essere usciti di casa, ci hanno fatto ritorno. C’è quella spesa delle famiglie di lavoratori autonomi e di operai, specie di quelle monoreddito e con un elevato numero di componenti, che nel 2011 e nel 2012 si è ridotta in misura marcata. C’è questo e molto altro nel rapporto annuale 2014 dell’Istat presentato oggi a Montecitorio. È una fotografia sullo stato di salute del Paese. La crisi persiste e pesa sulla salute, con un italiano su dieci che rinuncia alle cure (l’indicatore di povertà assoluta, stabile fino al 2011, sale di ben 2,3 punti percentuali nel 2012, attestandosi all’8% della popolazione).
E poi il (nuovo) minimo storico per le nascite da quasi vent’anni: nel 2013 si stima che saranno iscritti all’anagrafe poco meno di 515mila bambini, 12mila in meno «rispetto al minimo storico registrato nel 1995»..
I numeri dell’emergenza lavoro
L’ente statistico riconosce che esiste un’emergenza lavoro: il numero di disoccupati in Italia è raddoppiato dall’inizio della crisi, nel 2013 arriva a 3 milioni 113 mila unità. In quasi sette casi su 10 l’incremento è dovuto a quanti hanno perso il lavoro, con l’incidenza di ex-occupati che arriva al 53,5% (dal 43,7% del 2008). Nel 2013 sono state autorizzate oltre un miliardo di ore di Cig, in leggera diminuzione rispetto al 2012 (-1,4%): i beneficiari in più della metà dei casi hanno un’età tra i 35 e i 49 anni. La quota di madri che non lavora più a due anni di distanza dalla nascita dei figli è passata al 22,3% nel 2012 dal 18,4% del 2005.
Le famiglie riducono i consumi
Cala la spesa per i consumi. In base alle indicazioni fornite dal rapporto, molte famiglie che fino al 2011 avevano utilizzato i risparmi accumulati o avevano risparmiato meno l’anno successivo hanno ridotto i propri livelli di consumo per mantenere i loro standard. La contrazione dei livelli di consumo si é verificata nonostante l’ulteriore diminuzione della propensione al risparmio (pari all’11,5%) e il crescente ricorso all’indebitamento: nel 2012 le famiglie indebitate superano quota 7%.
Diminuisce la spesa sociale dei Comuni
La crisi morde e il welfare accusa il colpo. Nel 2011, per la prima volta dal 2003, la spesa sociale risulta in diminuzione rispetto all’anno precedente. Le risorse destinate dai Comuni alle politiche di welfare territoriale ammontano a circa 7 miliardi 27 milioni di euro, al netto della compartecipazione alla spesa da parte degli utenti e del Sistema Sanitario Nazionale, con una diminuzione dell’1% rispetto al 2010. Un intervento di 15,5 miliardi di euro, pari all’1% del nostro pil consentirebbe di ridurre consistentemente il tasso di povertà degli italiani.
Ora servono politiche della crescita
Sul piano dei conti pubblici, l’Istat ricorda che l’Italia si distingue come il paese che ha attuato il maggior sforzo di consolidamento fiscale a fronte di una recessione tra le più profonde dell’Unione Europea. Tuttavia, sottolinea ancora, non ha ottenuto i risultati attesi a causa di un effetto “avvitamento”. «La bassa crescita», causata anche da manovre fiscali restrittive, «ha in parte vanificato lo sforzo» di consolidamento dei conti pubblici.
Ora, spiega l’Istat, «per mantenere i risultati conseguiti sembrerebbe opportuno agire sul denominatore del rapporto, cioè attuare politiche per la crescita».
Per le imprese il calo del cuneo fiscale è chiave per la ripresa
«Tra i provvedimenti in grado di portare, nell’attuale contesto congiunturale, a un aumento del numero di occupati – continua l’Istat – le imprese segnalano anzitutto una riduzione del cuneo fiscale a carico del datore di lavoro».
Burocrazia: 6 giorni per avviare impresa, ma costa il triplo della media Ue
La crescita passa anche dall’impegno comune contro le lungaggini burocratiche. In Italia – spiega l’Istat – avviare un’impresa richiede sei giorni, come in Francia, meno che nel Regno Unito, Germania e Spagna (da 12 a 24), ma costa il triplo rispetto alla media Ue in termini di capitale minimo e costi procedurali. Tempi e costi della giustizia civile sono penalizzanti per le imprese italiane: la risoluzione delle dispute dura il doppio della media Ue (1.185 giorni) ed e’ piu’ costosa che nei principali paesi europei. Stentiamo ad attrarre investimenti diretti esteri: nel 2011 sono 13.500 le imprese a controllo estero, occupano 1,2 milioni di addetti e spiegano il 13,4% del valore aggiunto del sistema produttivo (meno che in Francia, Germania e Spagna).
Aumentano le entrate, si riduce la spesa pubblica
l’Istat mette in evidenza che nel triennio 2012-2014, le manovre per il consolidamento dei conti pubblici dispongono un apporto cumulato dell’aumento delle entrate di 122 miliardi e una riduzione di spesa pubblica di 53 miliardi. L’ente statistico aggiunge che l’impatto sull’indebitamento delle manovre correttive è stato di 15 miliardi nel 2011, 75 nel 2012 e 92 nel 2013. I risultati ex post hanno visto una progressiva riduzione della spesa totale tra 2010 e 2013 (personale -4,6%, investimenti -18,7% pari a 6,2 miliardi, consumi intermedi -3,7% pari a 3,3 miliardi, mentre quella per il servizio del debito +14%); sovrastimati invece gli effetti delle manovre sulle entrate, colpite dalla minor crescita e dal peggioramento delle basi imponibili. Sono salite le imposte indirette soprattutto per l’introduzione dell’Imu. Nuove entrate per le casse dello Stato, ma la pressione fiscale ha frenato la ripresa.
Il Sole 24 Ore – 28 maggio 2014