Il ritratto (e la fenomenologia) del Paese stavolta assume i contorni di una diapositiva diffusa ieri durante il tradizionale rapporto “Consumi e distribuzione” della Coop, l’insegna della grande distribuzione che con suoi oltre 8mila soci è la leader di mercato. S’intitola «L’Italia della rinuncia» e non è solo un’azzeccata sintesi di comunicazione/marketing per i giornalisti accorsi alla conferenza stampa. Ma è l’epitaffio sulle aspettative di ripresa: «Dei residenti nel Mezzogiorno non può permettersi un pasto proteico una volta ogni due giorni il 25% della popolazione». Il cui corollario: «E’ sparito il pasto fuori casa». Altro che ristoranti pieni come si diceva qualche anno fa per smentire il declino (di consumi) del Belpaese cercando una via d’uscita che celebrasse ancora la dolce vita in salsa italica.
Il simbolo di questa rinuncia a mangiare fuori dalle quattro mura domestiche – secondo gli esperti di largo consumo di Coop – a ben vedere sarebbe rappresentato anche dalle presenze in picchiata nei nostri vituperati stadi di calcio. Gli abbonamenti per la stagione calcistica sono in picchiata, non solo per l’onnipresenza della televisione che induce spesso a preferire il divano di casa oppure per la qualità decisamente al ribasso degli interpreti dello sport che più amiamo, ma anche per via delle cosiddette spese accessorie come il panino e la birra da consumare sugli spalti e che spesso costano un occhio della testa.
Altro che bonus Irpef
Così secondo il rapporto Coop c’è sempre più la tendenza alla convivialità nelle sole ed esclusive mura di casa – o anche – mediante i contorni virtuali dei social network come Facebook dove – rileva lo studio – gli italiani passano circa cinque ore al giorno (!). L’esito complessivo è sintetizzato da un’altra serie di indicatori che faranno impallidire la nostra politica che ha tentato di ravvivare la domanda interna con il famoso bonus Irpef di 80 euro mensili per i redditi sotto un imponibile di 25mila euro annui. Primo: il 43% delle famiglie italiane non riesce a sostenere spese impreviste di 800 euro. Secondo: Il 70% non è contento della propria situazione economica. Terzo: il 24% dei giovani non lavora e studia. Quarto: l’83% non fa acquisti di abbigliamento se non durante il periodo di saldi. Quinto: Il 21% non riesce a riscaldare adeguatamente l’abitazione. Sesto: Il 14% non riesce a pagare affitti, mutui e bollette. Come si nota sembra l’empirica conferma della rilevazione Istat che ha tecnicamente definito l’Italia in deflazione (cioè anche i prezzi battono in ritirata come i gamberi) soltanto nel mese di luglio, ma le cui avvisaglie erano state lasciate sulla strada in questi sei anni di Grande Crisi.
I consumi alimentari
Sul fronte strettamente alimentare qualche segnale di ripresa c’è, ma solo perché la caduta dei consumi è stata segnalata negli ultimi undici trimestri consecutivi e nei mesi compresi tra marzo e giugno sembra essersi fermata anche per un mero effetto di probabilità statistica (traduzione: non si poteva andare giù per sempre). Eppure non si può omettere che dal 2007 ad oggi si sono persi 100 miliardi di euro di consumi, che hanno spinto le insegne della gdo a forti politiche di scontistica con inevitabili compressione dei margini anche sull’industria di marca, sull’industria di trasformazione e sui piccoli agricoltori. Creando un cortocircuito inevitabile perchè tutti questi attori sono composti da persone, in fondo da consumatori presi a ridurre senza fine le spese voluttuarie e non. (Fabio Salvelli – Corriere della Sera)
Nel 2014 acquisti ancora in calo: solo nel 2015 i primi segnali di una timida ripresa
Nel 2014, per la prima volta nella storia, si è ridotta la superficie di vendita della grande distribuzione: un fenomeno ancora in corso. Sette anni di crisi hanno eroso il reddito pro capite disponibile di 2.700 euro e le famiglie hanno reagito tagliando la spesa per consumi di 100 miliardi: la grande crisi dei consumi in Italia ruota intorno a questi due dati, con ricadute negative sulle abitudini di acquisto e sugli stili di vita: è quanto emerge dal Rapporto Coop 2014 “Consumi e distribuzione” presentato ieri a Milano dai vertici della catena distributiva leader.
«La crisi è stata profonda ma era impensabile che non avesse una fine – sostiene Marco Pedroni, presidente di Coop Italia -. Crediamo invece che nel 2015 possa esserci la svolta, a patto però che si operi per il sostegno alla domanda interna con provvedimenti a favore delle classi più deboli, con investimenti strutturali di ammodernamento del Paese e con politiche di riattivazione del credito alle imprese». Perché gli 80 euro del bonus Irpef non sono passati dalle casse del supermercato? «Sono stati molto utili – ammette Pedroni – senza il bonus sarebbe stato peggio, ma non poteva da solo invertire il trend. Sugli scontrini gli 80 euro non si sono visti per il semplice fatto che la propensione al risparmio degli italiani è molto forte: nel biennio 2013/14 è cresciuta, con il 41% degli italiani che ha destinato il denaro disponibile al risparmio».
Nel Rapporto Coop 2014 si evidenzia che i consumi delle famiglie sono scivolati dai circa 900 miliardi del 2007 agli 800 di quest’anno. «La crisi ci ha tolto 100 miliardi di spesa per consumi – sottolinea Albino Russo, direttore dell’ufficio studi Coop –. Anche se ora, dopo 13 trimestri di contrazione della spesa alimentare, la caduta si è arrestata. Rimangono però i danni: oggi la famiglia media italiana spende il 20% in meno di quella tedesca». Rimane una situazione di estrema debolezza: nel primo semestre del 2014 le vendite sono calate dello 0,3% sia a valore che a volume. A livello disaggregato a fronte del -1/-1,5% del Centro Nord c’è il -3,1% del Sud.
Il calo della spesa ha avuto ripercussioni anche sulle reti commerciali. «Per la prima volta nella sua storia – sottolinea Pedroni – la grande distribuzione alimentare ha fatto segnare la prima riduzione dell’area di vendita: -0,2% e nel 2014 subirà una contrazione più consistente. In crescita solo discount e superstore, ma, a parità di rete, persino i discount mostrano i primi segnali di difficoltà delle vendite». Poi il presidente del gigante della distribuzione (12,7 miliardi di ricavi e 1.200 negozi) cita anche uno studio Mediobanca da cui emerge che nel 2013 la redditività della distribuzione (risultato d’esercizio/capitale netto) è precipitata al -0,5% mentre l’industria ha spuntato un 7,7%. La gdo ha problemi di efficienza? «No – risponde Pedroni – la differenza sta nel -6,1% tra prezzi al dettaglio e all’industria nel primo semestre, anche se ammetto per Coop errori nella proposta commerciale: nel 2015 però sarà molto più innovativa». E il nuovo modello gestionale e organizzativo della galassia Coop (vedi Il Sole 24 Ore del 10 luglio 2013)? «Stiamo unificando ruoli e strategie commerciali – replica il top manager – Dopo il food, l’ortofrutta e le carni siamo passati al capitolo del non food. Siamo fiduciosi». Dopo lo stop dell’Antitrust a Centrale italiana qual è il piano B? «Il suo ruolo si era esaurito – risponde Pedroni – ora lavoriamo su un progetto di centrale europea». (Emanuele Scarci – Il Sole 24 Ore)
4 settembre 2014