Ricchezza non è solo denaro ma è anche tempo, e quando questo manca, la famiglia soffre. Per questo la Caritas diocesana ha investito nel doposcuola per bambini e ragazzi: sono infatti i figli a pagare il prezzo più alto fatto di solitudini, insicurezza e disagio, se i genitori sono impegnati tutto il giorno al lavoro, ormai spesso anche di domenica. Non stiamo parlando della povertà «classica», ma di famiglie normali che però non hanno la rete di protezione dei nonni o non possono permettersi le spese extra per i centri estivi o per lo sport di base. Fuori da scuola i ragazzi rischiano di restare abbandonati e manifestano il loro disagio con disturbi dell’apprendimento e rendimento scolastico inadeguato.
Il «report delle povertà educative e risorse comunitarie del 2017» è stato presentato ieri da Don Luca Facco, capo della Caritas diocesana insieme al vescovo, monsignor Claudio Cipolla. «La povertà educativa, cioé i fattori che escludono il ragazzo da alcune attività scolastiche e dallo sport, è in aumento – spiega Don Facco –. Le amministrazioni comunali fanno quello che possono ma le risorse pubbliche sono quello sono, e noi con i nostri volontari cerchiamo di fare la nostra parte». Sono 93 le parrocchie della Diocesi che hanno attivato il doposcuola (circa il 20% del totale), dove sono impegnati 688 volontari e 139 esperti retribuiti.
«Al doposcuola si fanno i compiti, ma anche molto di più – continua Don Luca – in generale si cerca di aiutare il ragazzo ad acquisire più fiducia in se stesso, migliorare l’autostima, e poi ci sono i corsi di italiano per i ragazzi stranieri». A testimonianza del fatto che i doposcuola diocesani funzionano sono state lette alcune storie di giovanissimi studenti che, spesso soli a casa, rischiavano di disperdere le loro energie. È bastato seguirli, parlare con loro, insegnare un metodo di studio per far recuperare tempo e ottimi profitti scolastici.
Sul fronte dei numeri la Caritas rileva una diminuzione di richieste di aiuto nel 2017 rispetto al 2016: sono diminuiti gli stranieri poveri (-9,5%), mentre gli italiani, soprattutto famiglie con figli sono rimasti invariati. Le famiglie povere hanno principalmente bisogno di soldi per pagarsi le cure mediche: «Le bollette non possono aspettare, purtroppo la salute sì – conclude don Facco – per questo per noi è fondamentale l’ambulatorio aperto con il sostegno dei medici del Cuamm».
Il Corriere del Veneto – 27 maggio 2018