«In Italia il miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro ha determinato un aumento sia del numero di assicurati (che hanno superato i 26,2 milioni) sia del numero medio di settimane lavorate, recuperando così la brusca caduta del 2020», ha sottolineato Gelera, che ha aggiunto: «ciò ha garantito una maggiore stabilità e sostenibilità del sistema previdenziale italiano». Il ministro Calderone, nelle sue conclusioni, ha voluto soprattutto ringraziare l’Inps per l’efficace sforzo profuso nella modernizzazione e nella trasformazione dell’Istituto che ormai ha assunto un ruolo centrale nella Pa italiana e nelle dinamiche socioeconomiche del Paese.
Dalla fotografia scattata dagli esperti dell’ente previdenziale emerge come continui ad essere accentuato il cosiddetto gender gap. Il 52% dei pensionati è rappresentato da donne alle quali viene però destinato solo il 44% dei 322 miliardi si spesa per trattamenti pensionistici: il 56% va agli uomini con assegni del 36% superiori a quelli delle lavoratrici (1.932 euro contro 1.416).
Il rapporto annuale Inps guarda anche alle diverse condizioni previdenziali in cui si trovano soggetti con grandi differenze di reddito. In particolare, nel dossier si fa notare che la speranza di vita a 67 anni per gli operai (Fondo lavoratori dipendenti Inps) è di quasi cinque anni inferiore a quella dei dirigenti (16 contro 20,9) e che il coefficiente di trasformazione uguale per tutti consegna una pensione ai meno abbienti più bassa di quella che avrebbero avuto considerando la loro reale aspettativa di vita. «Viceversa – si legge nel dossier – i più abbienti ottengono pensioni più elevate di quelle che risulterebbero da tassi che tengono conto della effettiva durata media della loro vita».
Il dossier non evita di toccare in qualche modo il tema della flessibilità in uscita indicando come strada per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale quella del ricalcolo contributivo degli assegni per chi punta o è costretto a uscire prima della soglia di vecchiaia dal lavoro. In quest’ottica l’Inps fa un’analisi sull’andamento di Opzione donna che consente il pensionamento anticipato appunto con il ricalcolo contributivo del trattamento. A gennaio 2023 le pensioni erogate attraverso questo strumento erano circa il 16% di tutte le pensioni anticipate alle lavoratrici. A beneficiarne sono state circa 175mila donne con un assegno di quasi il 40% più basso della media, per effetto in parte del ricalcolo contributivo e anche dei minori anni di contribuzione e dei minori redditi di queste lavoratrici. Da una simulazione degli esperti dell’Istituto emerge che la “penalizzazione” media derivante dal ricalcolo contributivo degli assegni con i requisiti in vigore nel 2022 prima della stretta scattata con l’ultima legge di bilancio (58 anni d’età, e 59 per le lavoratrici autonome, e 35 di contributi) ha un trend decrescente.
Sotto i riflettori anche la questione inflazione. Nel report si osserva che le famiglie nel quinto di reddito più basso (con una contenuta propensione alla spesa) hanno sperimentato tra il 2018 e il 2022 un aumento dei prezzi nel loro paniere di riferimento del 15% (circa cinque punti in più di quanto sperimentato dall’ultimo quinto, quello con il reddito più alto) ma sono riuscite ad aumentare il loro reddito reale grazie agli effetti della maggiore offerta di lavoro e degli aiuti decisi negli anni scorsi a livello governativo. L’inflazione invece ha colpito soprattutto le famiglie di pensionati: i nuclei del “primo quinto” sempre nel periodo compreso tra il 2018 e il 2022 hanno perso circa il 10,6% del reddito in termini reali e quelle “dell’ultimo quinto” il 7,5%.