La Stampa. Sempre più cari, sempre più vuoti. I carrelli della spesa di negozi e supermercati risentono del rimbalzo dei prezzi dei generi alimentari causato da ondate di maltempo, strozzature nella catena degli approvvigionamenti e aumenti dei costi energetici. Un fenomeno che attraversa il Pianeta colpendo le famiglie di Paesi avanzati e in via di sviluppo, seppur con magnitudo e modalità differenti. Secondo la Fao l’indice dei prezzi alimentari è cresciuto a ottobre del 31% su base tendenziale. Di tenore simile è stato l’incremento delle materie prime alimentari e delle bevande avverte il Fondo monetario internazionale. In termini reali, ovvero al netto dell’inflazione, i prezzi globali delle materie prime alimentari sono ora superiori ai picchi del 2008 e del 2011, ovvero in coincidenza della grande crisi finanziaria e alla vigilia delle primavere arabe innescate anche dal caro vita.
Le cause sono il maltempo, come la siccità in America del Nord e del Sud, le forti piogge in Europa e in Asia, e le criticità dei rifornimenti seguite all’allentamento delle restrizioni del Covid-19. In alcuni casi si sovrappongono fattori più specifici, spiega la Camera di Commercio degli Stati Uniti, come la carenza di manodopera per soddisfare la domanda. Non ci sono lavoratori sufficienti a scaricare container nei porti, per esempio, o camionisti per movimentare il cibo verso distributori e negozi, problema esacerbato dalla pandemia e dai generosi aiuti del governo Usa. «È difficile attrarre e trattenere lavoratori», spiega Andrew Harig, vicepresidente del Food Marketing Institute, secondo cui «occorrono incentivi dei governi per il ritorno al lavoro». Così per riempire il carrello della spesa il mese scorso gli americani hanno dovuto sborsare il 5,4% in più rispetto al 2020 e l’1% in più rispetto a settembre. Zucchero e latte, ad esempio, sono aumentati del 12,5% e 8,4% per non parlare di pancetta e uova con rincari poco sotto il 30%. Ciò va a incidere sulla parte a valle della filiera, ovvero sui ristoranti costretti a ritocchi dei menù, così come sui buoni pasti erogati per aiutare le fasce più disagiate della popolazione.
Le difficoltà degli americani non sono diverse da quelle dei consumatori del resto del mondo. L’inflazione dei prezzi di alimenti è al 4,5% nelle 30 nazioni più ricche dell’Ocse, ovvero tre volte di più dei livelli di maggio. Va ancora peggio ai Paesi emergenti, Argentina, Brasile, Colombia, Russia o Turchia, dove l’impennata dei prezzi, che supera il 10%, è stata amplificata dal deprezzamento delle valute locali rispetto al dollaro, divisa utilizzata per scambiare le materia prime alimentari. «In Russia, l’aumento del costo del cibo è diventato un problema politico, con la diminuzione dei redditi reali e il calo di consensi per il partito di governo – spiega il Financial Times -. In Brasile i prezzi al consumo di alimenti e bevande sono aumentati a un tasso annuo del 12%». In Asia, dove c’è minore inflazione, è stato il maltempo a innescare i rincari. Le forti piogge degli ultimi mesi in India hanno causato smottamenti, distruggendo i raccolti e facendo salire il prezzo degli ortaggi. In Cina ad essere colpite sono state le province agricole, mentre disagi ci sono stati nelle Filippine e altri Paesi del Sud Est asiatico. E se il Nord del mondo deve stare attento a limitarsi nel riempire i carrelli della spesa, nel Sud il carovita si sta traducendo in più fame e malnutrizione, sovrapposte alla morsa pandemica che in certe aree del Pianeta non molla la presa. —