Il sole che spacca non risparmia nessuno. Gli uomini che raccolgono i meloni sono costretti a uscire dalle serre alle 9 del mattino perché a mezzogiorno sotto i nylon ci saranno 50 gradi e un caldo così può uccidere. Le vacche nelle stalle stanno sotto le ventole di sette metri di diametro o accanto ai nebulizzatori, per non perdere il latte e non solo. Qui tutti ricordano l’agosto del 2003, quando si superarono i 40 gradi e decine di migliaia di mucche furono macellate d’urgenza. Morirono anche vitellini ancora in grembo o appena nati. Il sole che picchia su uomini e bestie attacca anche il frumento che deve essere tagliato in fretta, perché si sta seccando come fosse abbrustolito dal fuoco. Anche la notte è illuminata dai fari delle trebbiatrici.
«Nel 2003 — dicono Paolo Carra, allevatore e presidente della Coldiretti di Mantova e suo figlio Sebastiano — tante stalle non erano attrezzate. Ora il 90% degli allevamenti hanno i nebulizzatori, le docce, le ventole… La mucca che soffre il caldo può perdere anche il 20% del latte. Per ora da noi il calo è al 7-10%, ma siamo ancora all’inizio dell’estate, le vacche hanno ancora una buona riserva energetica». Ci sono sette ventole, nella grande stalla di Suzzara, senza pareti e con 380 frisone in lattazione. Una ventola è rotta e sotto c’è il vuoto. Le vacche vanno alla ricerca dell’aria fresca e fanno la fila per gli abbeveratoi. Per una mucca la temperatura ideale è compresa fra i 23,9 ed i 25 gradi. Normalmente beve 70 litri d’acqua al giorno, con il caldo torrido arriva a 140.
«Stiamo ancora studiando — raccontano gli allevatori Carra — i metodi migliori per refrigerare i nostri animali. Noi abbiamo tolto i nebulizzatori perché le vacche bagnate si possono ammalare. C’è ancora tanto da sperimentare. Una mucca che soffre si ingravida meno, i vitellini soffrono e cala il latte destinato al parmigiano. Insomma, tutta la catena produttiva va in crisi. Purtroppo, siamo solo all’inizio dell’estate. Non ci resta che sperare in qualche temporale. Le mucche sono animali robusti, hanno grandi capacità di recupero». Nella stalla ci sono anche sette spazzole rotanti. Sono gialle e somigliano a quelle di un autolavaggio. Le vacche le usano per massaggiarsi, come anti stress. Si prendono a testate, quando qualcuna non vuole cedere il posto all’altra.
A Malcantone di Sermide i braccianti di Mauro Aguzzi, presidente del Consorzio del melone mantovano Igp, finiscono il raccolto alle 10 del mattino. «Per fortuna noi abbiamo finito la raccolta in serra già una settimana fa, là dentro si crepa ». Nell’immenso campo di meloni gli operai usano una scopa e un secchio, come se dovessero fare le pulizie. Con la scopa scostano le foglie, trovano i meloni maturi e riempito il secchio li mettono sul carro.
«Il picco della produzione — dice Mauro Aguzzi — ci sarà la prossima settimana. Siamo un po’ preoccupati perché anche se il picco era programmato con questo caldo si rischia di fare maturare tutto e subito. E pensare che una volta la stagione iniziava ai primi di luglio. Ogni anno si accelera di più. In serra quest’anno, per la prima volta, abbiamo raccolto meloni all’inizio di maggio, in contemporanea con la Sicilia. In campo aperto, come questo, abbiamo caricato i carri già a metà giugno ».
Fino ad oggi è andata bene. I prezzi dei meloni vanno da 1,30 a 1,80 euro — nei mercati all’ingrosso — e ottimi sono anche quelli dei cocomeri, dai 40 agli 80 centesimi al chilo. «Con il caldo così forte devi entrare in campo all’alba e uscire il prima possibile. Sarà dura la prossima settimana, quando dovremo tornare per la raccolta anche nel tardo pomeriggio. Ma almeno sarà finito il Ramadan». Sei marocchini e un brasiliano sono la “squadra” di raccolta. «Ci hanno detto — raccontano Youssef, Abdel e gli altri musulmani — che per l’Iman chi fa un lavoro pesante sotto il sole cocente può bere anche durante il giorno. Non è vero: serve un’autorizzazione precisa che viene data solo a chi è malato o molto anziano. Noi siamo giovani e sani ». Il brasiliano Francisco Carlos e il titolare dell’azienda ovviamente bevono e mangiano. «Ma lo facciamo in disparte, non di fronte a loro. Sembrerebbe una provocazione».
Giovanni Gorni, cerealicoltore di Rivarolo Mantovano, è alla guida della trebbiatrice. «Devo raccogliere il mio grano in fretta. Noi dobbiamo consegnarlo con un grado di umidità massimo pari al 14%. Ecco, con questa canicola, in pochi giorni, anzi in poche ore, l’umidità è scesa al 9-10%, con conseguente perdita di peso di 4-5 chili ogni cento. Se continua così, nei prossimi giorni caleremo ancora al 7% o 8%. Un grano troppo secco, con la trebbiatrice, si perde sul terreno. E così, a guadagnare qualcosa, saranno soltanto i colombi e gli storni».
Repubblica – 26 giugno 2017