Il Sole 24 Ore. Sono 64mila le nuove uscite anticipate, al netto dei 6.500 “posticipi” previsti con il bonus Maroni del 10%, attese con Quota 103 e la proroga di Ape sociale e Opzione donna. Che si presenta però in una configurazione con un raggio d’azione molto limitato rispetto all’attuale versione. Il canale di pensionamento anticipato con il ricalcolo contributivo dell’assegno non sarà più utilizzabile da tutte le lavoratrici, ma sarà ristretto a tre sole categorie: caregiver, cioè chi assiste coniuge o parente con handicap; con invalidità civile superiore o uguale al 74%; “licenziate” o dipendenti di imprese con un tavolo di crisi aperto.
Il governo stima che a Quota 103, che dal 1° gennaio prossimo prenderà il posto di Quota 102 e garantirà il pensionamento anticipato con 41 anni di versamenti e 62 anni d’età, saranno interessati 47.600 lavoratori, ma 6.500 dovrebbero optare per la permanenza in attività usufruendo in busta paga del bonus Maroni, ovvero di una decontribuzione pari alla quota contributiva a carico del lavoratore dipendente (circa il 9,19%). Con il risultato di far scendere la platea potenziale effettiva a 41.100 soggetti. Chi opterà per questo strumento dovrà fare i conti con un tetto sull’importo dell’assegno, che non potrà superare le 5 volte il minimo Inps: circa 36.643 euro l’anno nel 2023. Il trattamento non potrà poi essere cumulato con altri redditi da lavoro, esclusi quelli da lavoro autonomo occasionale fino a un massimo di 5mila euro. Confermate le previste finestre di uscita.
Altri 20mila lavoratori dovrebbero prendere la via della pensione prima dei limiti di vecchiaia utilizzando la proroga secca dell’Ape sociale: il costo previsto è di 134 milioni per il 2023 che però di fatto si riduce a 64 milioni grazie al recupero di 70 milioni di minore spesa rispetto alla dote già stanziata negli anni scorsi. Con la stretta operata dal governo su Opzione donna dovrebbero poi accedere alla pensione il prossimo anno non più di 2.900 lavoratrici, con un onere di 20,8 milioni nel primo anno. A incidere, con 210 milioni nel 2023 e 379 milioni nel 2024, sul flusso delle maggiori uscite è anche la rivalutazione maggiorata delle pensioni al minimo (attualmente a 525,38 euro), che farà lievitare il trattamento a 571 euro mensili nel 2023 e a circa 580 euro nel 2024. Una perequazione maggiorata biennale, così come il nuovo meccanismo di indicizzazione, che garantisce un adeguamento pieno solo alle pensioni fino a quattro volte il minimo Inps con tagli progressivi per le cinque fasce successive.