Ancora ieri sera nella maggioranza si sarebbe continuato a discutere sulla possibilità di far scattare la stretta alle finestre almeno nel 2021 per irrobustire la dote prevista per il secondo anno di attuazione del taglio del cuneo. In ogni caso la partita è solo rinviata di qualche settimana. Anzitutto perché durante il cammino parlamentare della legge di bilancio saranno proposti correttivi da Italia Viva per rivedere Quota 100. Che sarà anche al centro del tavolo-pensioni avviato da Governo e sindacati, fin qui contrari a modificare la misura. Per il 2020 tutto resterà invariato. L’obiettivo è anzitutto quello di individuare alcuni correttivi da far scattare nel 2021 e creare così le condizioni per la nuova riforma da far decollare nel 2022, quando si sarà esaurita la sperimentazione triennale della misura bandiera dell’esecutivo “giallo-verde”. Una riforma considerata da molti necessaria per evitare gli effetti negativi di un maxi-scalone di 5 anni con cui, senza l’introduzione di nuove misure in formato “décalage”, si troverebbero a fare i conti i lavoratori con almeno 38 anni di contribuzione nati dopo il 1960. Il confronto entrerà nel vivo nelle prossime settimane. «Dovremo discutere di che tipo di uscita dal lavoro realizzare», ha sottolineato il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta.
A confermare che presto saranno convocate le parti sociali per «discutere una riforma complessiva del sistema pensionistico», è stata la ministra pentastellata Nunzia Catalfo, che si è dichiarata molto soddisfatta per la decisione del Governo di non toccare Quota 100, così come la sua collega di partito e viceministro all’Economia, Laura Castelli. Che ha definito un successo dei Cinque stelle lo stop all’ipotesi di modifica di rimodulazione delle finestre per i pensionamenti anticipati con almeno 62 anni d’età e 38 anni di contribuzione congegnata dai tecnici del Mef. Un’ipotesi che non dispiaceva affatto al Pd e a Italia viva.
Intanto i sindacati definiscono una «presa in giro» la rivalutazione piena prospettata dal Governo anche per gli assegni da 1.522 a 2.029 euro: i pensionati interessati già beneficiano di una indicizzazione al 97% dell’inflazione. Secondo Spi-Cgil, ci sarebbe un aumento di circa 50 centesimi di euro al mese, pari a poco più di 6 euro all’anno per 2,5 milioni di pensionati.