Roberto Giovannini. Come dice il vicepremier Matteo Salvini «non mando tutti in pensione l’anno prossimo, l’obiettivo finale è quota 41; andare via con 41 anni di contributi». Ma è un’operazione costosissima; i soldi non ci sono, e semmai se ne parlerà per il 2020. Il pacchetto di misure che alleggerisce un po’ le regole della legge Fornero – che sostanzialmente non vengono toccate – nell’ultima stesura concordata riguarderà soltanto 373.000 italiani. Ovvero tutti coloro che hanno almeno 62 anni di età (o più) e contano almeno 38 anni di contributi. Per tutti gli altri – compresi quelli che hanno accumulato i famosi 41 anni di contributi, ahimè insufficienti – non c’è niente da fare: dovranno aspettare. Così come attenderanno quelli che speravano che bastasse raggiungere «quota 100» anche con 63 anni e 37 di contributi o 64 e 36. Il conto sarebbe salito moltissimo, e i potenziali neopensionati sarebbero diventati più di 500.000.
Ma chi saranno gli italiani beneficiati da questo provvedimento? I numeri esatti ce li ha soltanto l’Inps, che in queste settimane ha fornito per ovvia collaborazione istituzionale al governo tutti i calcoli, a seconda delle varie ipotesi formulate. All’istituto previdenziale guidato (ancora per qualche mese) da Tito Boeri le bocche sono cucite. Eppure ieri, partecipando a Venezia a un’iniziativa dell’Inps, il professore della Bocconi non solo ha bocciato nettamente l’operazione quota 100, ma ha spiegato che il 40 per cento delle risorse che verranno spese per favorire le uscite in pensione anticipata riguarderanno il lavoro pubblico.
In altre parole, nonostante in Italia i dipendenti pubblici – ministeriali, personale degli enti locali, enti pubblici, scuola, sanità e così via – sono circa 3,8 milioni in tutto (un po’ meno del 15 per cento del totale della forza lavoro attiva nel Paese), saranno proprio i dipendenti pubblici ad essere fortemente sovrarappresentati: il 40 per cento dei 373mila pensionati anticipati proverrà proprio dalle file del pubblico impiego.
Si tratta di una conseguenza abbastanza inevitabile del meccanismo prescelto: per definizione, sono i lavoratori del pubblico impiego quelli che riescono ad accumulare una carriera tanto lunga da poter centrare il parametro richiesto dalla «quota 100». Del lotto faranno parte certamente i 25.000 medici che secondo l’Anaao (il più grande sindacato dei medici ospedalieri, che ha un polso abbastanza preciso della situazione della categoria) potranno beneficiare di questa opportunità. Secondo le voci, poi, anche il mondo della scuola e dell’università vedrà un numero relativamente elevato di uscite grazie a «quota 100».
E il mondo del lavoro privato? Non saranno moltissimi, dicono gli addetti ai lavori, coloro che verranno avvantaggiati dallo scivolo. Anzi: la Cgil – che certo non critica il provvedimento varato dal governo giallo-verde – calcola che sorgeranno seri problemi per i circa 40.000 lavoratori «precoci» e «usurati», che ogni anno non potranno più utilizzare il più favorevole meccanismo varato dal governo Gentiloni, destinato a chiudere i battenti.
La Stampa – 5 ottobre 2018