Altri due anni e poi basta. Il compromesso tra Pd e M5S su Quota 100 comincia a delinearsi, anche se per ora non c’è nulla di ufficiale. Molto probabilmente la misura che consente di andare in pensione anticipata con 38 anni di contributi e 62 di età, resterà in piedi, come previsto, fino alla fine del 2021, magari con finestre di uscita meno frequenti. Ma poi non sarà prorogata, cesserà di esistere e sarà probabilmente sostituita da un anticipo pensionistico sociale (Ape sociale) opportunamente rafforzato rispetto all’attuale normativa, che permette di andare in pensione a quanti, con almeno 63 anni di età, hanno svolto attività gravose, o sono disoccupati o disabili, o assistono a casa parenti disabili. Il compromesso riuscirebbe ad avvicinare due posizioni finora divergenti: quella assunta fin dall’inizio dai pentastellati («Quota 100 non si tocca») e quella di quanti nel Pd propendono per lo stop anticipato di un anno della misura. Come si ricorderà, Quota 100 non ha affatto sostituito la legge Fornero (come continua a sostenere Matteo Salvini), ma ha solo consentito temporaneamente (per i tre anni dal 2019 al 2021), il pensionamento anticipato. Certo, sulla carta, anche questa misura “a tempo” ha un costo salatissimo per la finanza pubblica: 21 miliardi in tre anni, 48 in dieci. Per questo è stata pesantemente criticata sia dalla Commissione europea sia dalla Corte dei Conti, soprattutto perché aumentando il debito pensionistico prosciuga le risorse che più opportunamente avrebbero potuto rendere meno povere le pensioni future dei giovani con carriera discontinua, e favorisce invece chi è vicino all’uscita e può contare in gran parte su una carriera continua.
Ma ecco che a rendere meno gravoso il costo di Quota 100 intervengono i dati sul grado di adesione degli italiani al pensionamento anticipato. Fino al 6 settembre scorso, le domande presentate all’Inps erano quasi 176 mila, cifra ben lontana dalle 290 mila previste dal governo Lega-M5S per quest’anno. Anche per il 2020 l’Inps prevede un tiraggio molto contenuto. Tanto che il presidente Pasquale Tridico, vicino ai Cinque Stelle, ha azzardato ieri un «probabile risparmio di circa 4 miliardi ».
Insomma, gran parte dei lavoratori con i requisiti di Quota 100 ha deciso alla fine di rinunciarvi: si sono resi conto che, anticipando di molto l’uscita, avrebbero incassato assegni assai poco ricchi per via dei minori contributi versati. Ecco spiegato perché l’età media di quanti hanno fatto domanda non è di 62 anni ma tra 64 e 65. Così, invece di Quota 100, abbiamo in realtà Quota 102 o 103. Inoltre, quel tetto rigido dei 38 anni di contributi finisce inevitabilmente per penalizzare le donne e i lavoratori con carriera discontinua. Di qui la scarsa presenza di donne tra i richiedenti: poco più di 45 mila contro 130 mila uomini.
Sta di fatto che alla fine, per via delle minori domande, Quota 100 costerà meno del previsto. E questo rafforza la tesi di quanti (pur criticando aspramente la misura) accettano che essa resti in piedi fino al 2021. Di questo avviso è il senatore Antonio Misiani, responsabile economico del Pd, che potrebbe approdare all’Economia come viceministro. «Pur essendo stato sempre fermamente contrario, non penso sia giusto intervenire per stoppare anticipatamente Quota 100. Non possiamo creare nuove discriminazioni. Ovviamente, non dovrà essere prorogata nel 2022». La proroga, o in alternativa la proposta di Quota 41 (come numero di contributi necessari), è sempre stata invece tra i propositi della Lega, anche se nessun impegno finanziario in questo senso è stato alla fine preso dal passato governo giallo-verde, dopo la minaccia di bocciatura dell’intera manovra economica da parte di Bruxelles.
Al posto di Quota 100 si sta pensando a un Ape social rafforzato. L’Ape social andrà innanzi tutto prorogato (scade a fine anno), dopo di che verranno probabilmente allentati i requisiti che oggi consentono di accedervi, in modo da allargare le categorie coinvolte: disoccupati, disabili o parenti di disabili, lavoratori in attività gravose.
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