Professori sempre più stanchi e stressati protagonisti di episodi di bullismo alla rovescia; infermieri anziani costretti a turni di notte che sperano di ottenere l’inidoneità ai servizi più pesanti; poliziotti che dovrebbero correre dietro ai ladri pur avendo superato i 60. Sono alcune delle paradossali conseguenze dell’innalzamento dell’età pensionabile e del blocco del turnover nella pubblica amministrazione, un settore dove ormai solo il 3% dei lavoratori ha meno di 30 anni. Sognano la pensione, ma devono fronteggiare stress e stanchezza. In meno di quindici anni la galassia dei dipendenti pubblici del Belpaese si è letteralmente trasformata. L’età media si è gonfiata a dismisura, i giovani sono quasi spariti e gli anziani rappresentano il grosso di quel corpo che consente a scuole, uffici e ospedali di funzionare. La quota di dipendenti dello Stato schizzati, apatici o demotivati sembra però in crescita. In Italia non esistono dati ufficiali e nessuno sembra preoccuparsi più di tanto della salute mentale e della tenuta fisica dei lavoratori.
Eppure è certo che negli ultimi vent’anni il nostro sistema pensionistico si è irrigidito, interessato da una serie di riforme che per limitare la spesa previdenziale hanno allungato l’età in cui è possibile lasciare il lavoro e ridotto gli assegni. Con effetti che cominciano a vedersi.
I lavoratori più stressati sono quelli a contatto con persone “problematiche”: ammalati, bambini e adolescenti, fuorilegge. Per questa ragione tra le categorie più esposte e vulnerabili ci sono infermieri, agenti di polizia e insegnanti. La norma per accertare l’esaurimento causato dal lavoro ripetitivo e senza troppe soddisfazioni esiste dal 2008, ma in quasi dieci anni nessuno ha trovato il tempo di metterla in pratica. Intanto, almeno questo riferiscono le cronache, crescono gli episodi che vedono agenti di polizia penitenziaria suicidi, infermieri che si trasformano in carnefici e alunni maltrattati tra le mura scolastiche da insegnanti che hanno perso completamente la bussola. Segno di un malessere che cresce o casistica senza nessuna rilevanza statistica?
Di certo c’è che da vent’anni a questa parte i dipendenti dello Stato si presentano con chiome sempre più canute e per molti la pensione si sta trasformando in un miraggio che, anziché avvicinarsi, si allontana anno dopo anno per via dell’aspettativa di vita che cresce. Allo stesso tempo l’importo dell’assegno, falcidiato dalla riforma Fornero e dei ministri che l’hanno preceduta in via Veneto, si sta pericolosamente riducendo. La soglia per lasciare il lavoro si è maledettamente spostata in avanti: 67 anni e sei mesi che potranno diventare anche 70 con l’adeguamento alla speranza di vita. Una specie di maledizione. E per tutti il burnout – termine inglese che si traduce con “scoppiato” – è dietro l’angolo. Soprattutto per le cosiddette professioni “di aiuto” all’attività sanitaria – infermieri, ostetrici, ed altro – e per maestre e professori, operatori delle forze dell’ordine.
I dati ci possono aiutare a comprenderne il perché. Il popolo dei dipendenti pubblici, secondo i dati del Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato aggiornati al 2014, è formato da quasi 3 milioni e 253mila addetti ai lavori. Nel 2001, erano 50mila in più e la quota di under 30 superava il 10 per cento. E oltre un terzo circa – il 35 per cento – non aveva spento ancora 40 candeline. Mentre gli over 60 rappresentavano quella minoranza necessaria – il 4 per cento – che serviva ad instradare i giovani appena assunti. Nei corpi di polizia, gli agenti giovani con meno di 30 anni che difficilmente si facevano scappare un ladro per strada rappresentavano un terzo abbondante – il 34 per cento – del totale e la quasi totalità – il 75 per cento – era nella categoria under 40.
A quell’epoca Giuliano Amato e Lamberto Dini – autori delle riforme pensionistiche del 1992 e 1995 – avevano già messo in guardia gli italiani sul possibile dissesto finanziario degli enti di previdenza se non si fosse corsi ai ripari. Ma saranno, nel 2004 e nel 2012, Roberto Maroni e Elsa Fornero a dare il colpo di grazia alle speranze degli italiani che già pregustavano la pensione, allontanando maledettamente il momento dei saluti ai colleghi più giovani. Dopo appena 13 anni, gli agili agenti di polizia si sono trasformati in appesantiti poliziotti, mentre trovare un operatore sanitario – medico, infermiere, ostetrica – o un insegnante con meno di trent’anni è quasi impossibile.
Nell’intero mondo della Pubblica amministrazione gli under 30 si sono ridotti ad un terzo di quelli del 2001 – il 3 per cento – e gli under 40 si sono di botto dimezzati. In compenso, gli over 50 costituiscono più della metà dell’intera popolazione di riferimento e triplicano gli over 60 che però non hanno più giovani da addestrare perché nel frattempo la pubblica amministrazione ha chiuso i rubinetti delle assunzioni. In poco meno di tre lustri, l’età media dei dipendenti pubblici si è incrementata di quasi sei anni: passando dai 43,5 anni del 2001 ai 49,2 del 2014. Con oltre 9 anni in più è nei corpi di polizia che si registra l’incremento dell’età media più consistente. Mentre gli addetti del Servizio sanitario nazionale hanno mediamente 50 anni di età. Ma è nella scuola che si registra l’età media più alta: quasi 51 anni. Nel frattempo, le uscite dal lavoro per “dimissioni volontarie” si sono quasi dimezzate: meno 42 per cento. E quasi azzerate nella scuola.
di MICHELE BOCCI, ALBERTO CUSTODERO e SALVO INTRAVAIA
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29 marzo 2016