Centouno decessi per l’epidemia di Ebola più settentrionale registrata finora in Africa. Sono i due dati che hanno destato la preoccupazione dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per il caso di diffusione “più virulento” da quando il virus è stato individuato 40 anni fa. Altri 157 casi sospetti identificati in Guinea, il Paese più colpito con infezioni anche nella capitale Conakry, e qualche contagio anche nei paesi vicini, Sierra Leone, Liberia e Mali.
Ma se l’emergenza è destinata a durare altri 3-4 mesi, si registrano, fa sapere Medici senza frontiere, anche le prime guarigioni e la stessa Oms non raccomanda restrizioni ai viaggi e ai movimenti di persone e merci. Una situazione che il ministero della Salute italiano sta monitorando – non esistono voli diretti da verso l’Italia da quei Paesi, a differenza di altri scali europei come per Parigi e Londra – ricordando che il “rischio di infezione per i turisti, i viaggiatori in genere ed i residenti nelle zone colpite, è considerato molto basso se si seguono alcune precauzioni elementari”
Come evitare il contatto con malati e i loro fluidi corporei, con animali selvatici vivi o morti, evitare di consumare carne di animali selvatici, lavare e sbucciare frutta e verdura prima del consumo, lavarsi frequentemente le mani.
Non si trasmette come un’influenza – Anche se si tratta di un virus altamente letale, che uccide tra il 50 e il 95% degli infetti, il contagio è molto difficile. “La catena di trasmissione dell’infezione tende ad arrestarsi molto presto – spiega Massimo Galli, professore di Malattie Infettive all’Università di Milano e segretario della Simit, Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali -. In passato è successo che siano stati i riti per la preparazione dei cadaveri alla sepoltura da parte dei familiari il momento di diffusione dell’infezione. Eboa, infatti, non si trasmette con l’efficienza del virus dell’influenza per via aerea, ma solo per contatto stretto con sangue, fluidi corporei – vomito, urina, feci – della persona colpita o dell’animale colpito. E il quadro dei sintomi che si scatenano, dopo un periodo di incubazione che può essere anche molto breve, di pochi giorni, è tale da impedire alla persona contagiata di muoversi nel picco di contagiosità”.
Quindi se i rischi reali che di una diffusione di una diffusione fuori dall’Africa sono estremamente bassi – finora non si è registrato mai nessun caso al di fuori del Continente o di turista contagiato – fa paura questa malattia letale dai contorni “cinematografici” che causa una febbre emorragica, “nella sua prima fase con febbre, dolori muscolari e malessere generalizzato – spiega Galli – per poi progredire con manifestazioni emorragiche, alle gengive e alle congiuntive, con petecchie e travasi su tutto il corpo, per poi causare un’emorragia gastrointestinale e danni a tutti gli organi interni”. La forza di Ebola è quella di sovvertire il sistema immunitario, che non riesce quindi a reagire. “Le vittime del virus non riescono o non hanno il tempo di produrre anticorpi”, spiega ancora Galli.
Il virus Ebola in azione in queste settimane in Guinea è il ceppo Zaire o Zebov, uno dei cinque finora noti, uno dei più letatli. Ha fatto la sua prima apparizione nel 1976, nello Zaire, uccidendo l’88% dei 318 casi. Gli altri due Ebola “cattivi” si chiamano Ebola Sudan e Ebola Bundibugyo. Non tutti i virus finora isolati sono letali e, qui si innesca un “giallo” scientifico. “Ebola appartiene alla famiglia dei Filoviridae, virus che non si sono sviluppati – spiega Galli – prevedendo l’uomo tra i suoi ‘habitat” biologici, e per questo quando vi arrivano o non sono patogeni oppure sono estremamente letali. Alcuni lavori scientifici, poi, – spiega l’infettivologo – hanno dimostrato che esistono persone in aree interessate in passato da Ebola che pur non avendo mai avuto una febbre emorragica o sintomi clinici della malattia hanno in circolo anticorpi contro il virus Ebola che suggeriscono un precedente contatto”. Un mistero biologico ancora tutto da scrivere. “Delle due l’una – spiega il professore – o esistono specie di virus non patogene per l’uomo anche nelle aree in cui possono emergere le specie più aggressive, oppure esiste la possibilità di venire a contatto con il virus senza ammalarsi avendo una risposta anticorpale. Terza ipotesi, possono esserci persone naturalmente capaci di difendersi meglio”.
Al momento non esiste una cura contro il virus, ma solo terapie per i sintomi. Sono in fase di sperimentazione un antisiero con un anticorpo monoclonale e due diversi tipi di farmaci. “Per questo – conclude Galli – anche se il rischio è molto limitato, non bisogna abbassare la guardia, ma prevedere strutture attrezzate ad ogni emergenza, ricordando a chi è in procinto di partire per l’Africa che esistono zone in cui il rischio di ammalarsi di malaria è ben più alto, essendo sufficiente una puntura di zanzara, e contro la quale è quindi raccomandata la profilassi e cospargersi sul posto di repellenti per tenere lontani gli insetti”.
Il Sole 24 Ore – 15 aprile 2014