di Ettore Jorio*, Il Sole 24 Ore sanità. Una “sanità manipolata” sarebbe un bel titolo per un film/documentario di Michael Francis Moore, quel regista eccezionale nel descrivere le contraddizioni, spesso a effetto invalidante se non “omicidiario”, del sistema politico-sociale che infierisce sui deboli. Manipolata perché va avanti compensando quel tantissimo che manca limitandosi a promettere sempre nuove cose destinate a fare, però, la stessa fine di quelle promesse un tempo e non mantenute. Questa è la fotografia della sanità nel nostro Paese, con punte di manipolazioni eccelse nel Mezzogiorno, destinatario di promesse a fronte di realtà.
Dal sogno del Ssn a una sanità tutta da rifare
Dunque, “una sanità manipolata” è un titolo che ci starebbe tutto in un libro destinato a descrivere dove è finito il welfare assistenziale italiano dopo la grande riforma del 1978, che nella sintesi: ebbe a introdurre il Servizio sanitario nazionale; a mandare a casa le mutue del discrimine; a dare il via al finanziamento impositivo garante dell’universalismo; a imporre centralità all’assistenza distrettuale, introducendo quella integrata con il sociale.
Da lì in poi, con una folle accelerazione sopravvenuta negli anni Duemila, tutto è precipitato, realizzando un sistema assistenziale che si fa fatica a riconoscere come tale: con una assistenza territoriale consegnata all’esclusività della medicina convenzionata, che non ha dato affatto un buona prova di sé nel più recente periodo Covid; con una assistenza intermedia neppure presente sulla carta; con una assistenza ospedaliera che si è difesa bene grazie all’offerta assicurata dai 51 Irccs (21 pubblici e 30 privati) che la collettività fa fatica a distinguerli come tali, infra-sistema ma assolutamente autonomi.
Una considerazione critica che ci sta tutta
Nonostante ciò, l’attribuzione economica delle risorse Pnrr in favore del sistema della salute è stata motivata poco e male. Quasi come se fosse di per sé “tutto a posto”. Così non è in tutta la sua evidenza.
Con le “elemosine” non si fanno investimenti e non si cambia nulla
Lo 0,8% è davvero umiliante per una riorganizzazione del territorio che come livello assistenziale è pressoché inesistente, basti pensare alle negatività che ha registrato in due anni di epidemia libera di correre tra i cittadini con i medici di famiglia spesso barricati e di frequente neppure nei loro studi. Certo, questo limite non è stata la regola, dal momento che sono stati in tanti quelli esposti in prima linea a pagare anche con la vita la loro generosa diversità.
Si diceva lo 0,8%, una vergogna, pari a 15,63 miliardi di euro, per mettere a terra, tra l’altro, le previsioni strutturali del Dm 77 – che di certo risulteranno insufficienti (se non inadeguate) a rendersi garanti del difficile risultato anche perché disseminate male in tutto il Paese – da riempire del personale necessario a rendere funzionanti, per l’appunto: Case e Ospedali di comunità nonché Centrali operative territoriali. Quella “mano d’opera” professionale da assicurarsi senza però a tutt’oggi avere programmato, valorizzato e previsto i quattrini occorrenti per fare funzionare ovunque la medicina di prossimità.
Non solo. Nessuna previsione per garantire un ingresso dalla porta principale della telemedicina – fatta eccezione per qualche attività preparatoria al naturale business – per favorire la svolta di una tutela della salute collaborata dalla intelligenza artificiale.
Manca del tutto l’idea della nuova spedalità
È del tutto mancante il necessario progetto per rivedere la geografia ospedaliera da programmare secondo le nuove dimensioni dell’offerta dopo Covid arricchita della robotica assistita, per l’appunto, dall’intelligenza artificiale, che di per sé necessiterà di finanziamenti a numerosissimi zeri e di formazione adeguata degli operatori ad essa dedicata, nonché di revisioni di Drg oramai inadeguati a coprire i costi di esercizio delle prestazioni robot medico-guidati. Ci vorrà tanto impegno e tante risorse insomma per determinare una offerta di qualità del livello di assistenza ospedaliera da dovere necessariamente riparare rispetto a quella attuale. Quanto a riparazione occorrerà intervenire anche sul sistema ospedaliero-universitario per lo più non riconosciuto come tale ai sensi della normativa vigente dal 1999, che invero avrebbe potuto rintracciare una pronta soluzione a cura del nuovo ministro capace, come suo primo impegno, di assolvere il peccato originario con una “sanatoria” generale non affatto difficile da perfezionare Sarebbe stato sufficiente fare così come ebbe a fare Monti con il Dpcm del 31 gennaio 2013 (GU n. 55) riguardante Aou “S. Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona – Scuola Medico Salernitana”
A ben vedere, con un doveroso sforzo in più impiegato nella destinazione delle risorse del Pnrr si sarebbe potuto fare tutto quanto, o quasi. Un percorso garante dell’assistenza da essere poi ovviamente assistito con le disponibilità economiche di mantenimento a regime delle strutture da assicurare al sistema delle aziende per sostenere i nuovi bilanci al lordo delle nuove dimensioni erogative.
Ebbene, no. Chi ha programmato il Pnrr ha ritenuto (nella teoria) di cambiare il mondo ma di certo (nella pratica) non quello della tutela della salute delle persone, forse perché ben distante dalle “soddisfazioni” che offre una spesa non facilmente verificabile com’è la sanità, quanto a risultato, nel quotidiano da parte della collettività.
Via le catene politiche dal Ssn
Questo è uno degli effetti della manipolazione, che è l’arte primaria della politica, esercitata nell’ambito della tutela della salute facendo passare sempre per prossima la sua esigibilità. Nel frattempo, solo per fare qualche brutto esempio: inadempimenti gravi tali da generare morti colpevoli; diagnosi tanto ritardate da risultare inutili; liste di attesa estenuanti; viaggi della speranza; intimo senso di vergogna dei cittadini più anziani persino di chiedere assistenza al proprio medico; pretesa alle cure messa da parte; ricorso all’assistenza cash come soluzione alla disperazione; vergognosa sottomissione per racimolare un posto letto.
Al riguardo, mi si ripete nella testa una frase proferitami da una esperta di diritti fondamentali. “Il Pnrr è stato dirottato verso le cose eco-chic quando sulla sanità sarebbe servito un mega investimento”. Ebbene, è stato proprio così.
Alla fine della licenza, avremo come risultato del Pnrr un valore verosimile molto vicino allo zero. Con migliaia (forse) di piccole “chiese” disseminate ovunque (per usare un linguaggio della Meloni che mette in guardia se stessa da non realizzare le solite “cattedrali nel deserto”) che non avranno neppure i guardiani a salvaguardarli dai soliti vandali.
Per riempirle di professionisti e, dunque, per renderle erogatrici di servizi e prestazioni essenziali occorre una rivisitazione del valore in incremento assoluto delle risorse del Pnrr e una precisa volontà politica di accompagno, dimostrativa del convincimento che, attraverso il sistema di finanziamento che sarà introdotto a regime dal federalismo fiscale, metterà tanti soldi dentro per sostenere i bilanci delle aziende con destinazione assunzioni, investimenti in attrezzature (ben diverse da quelle acquisite con la Componente 2 della Missione 6 in gran parte obsolete perché scelte tempo prima). Oltre a questo, ci saranno le reti da rivedere, da creare e da implementare con l’introduzione della tecnologia altamente informatizzata. Insomma, ci vorranno tanti soldi per passare dalla sanità di oggi a quella di domani. Da quella promessa a quella realizzata.
L’impegno sarà arduo ma necessario con l’ingresso della intelligenza artificiale. Sarà come passare dagli amanuensi al computer, dagli incunaboli alla stampa al laser, con a monte tanto bisogno di alta formazione dei professionisti che la utilizzeranno.
La Salute non è materiale politico
Ed è qui che occorre dire basta a ogni genere di manipolazione intesa a costruire in sanità l’architettura del consenso prescindendo dal risultato godibile. Basta con l’influenzare la sanità supponendo di fare bene senza sapere come. Necessita mettere da parte il condizionamento della sanità al risultato politico. Nell’esercizio della politica, con la sanità è naturale doverci rimettere durante e a fine legislatura. Ed è giusto che sia così. È la sua legge naturale, proprio perché la si guarisce con le riforme strutturali che costano e che pesano su addetti e cittadini.
Il rimedio è quello di sapere maneggiare le regole e le risorse nonché di evitare gli inganni contabili che l’hanno distrutta per decenni nelle Regioni commissariate condannate a rimanere compromesse per sempre, con le loro collettività allo spasimo.
Rendere facili e visibili risultati teorici futuri è il peggio che si possa fare nei confronti di chi di cattiva sanità nel frattempo muore. Manovrare perché passi l’idea di pensare le cose giuste evitando di nascondere gli errori di percorso e di pronostico è un errore fatale.
Superare il profondo malessere del disservizio avvertito ovunque dalla popolazione limitandosi a promettere il nuovo che funzioni senza neppure pensare a “riparare”, da subito, l’esistente è equivalente a quella tecnica una volta chiamata “manipolazione delle masse”, che si perfezionava attraverso varie forme di comunicazione funzionali a sedare comunque la comunità in giustificata rivolta. Fare ciò nella tutela della salute significa produrre gli orrori di una guerra soprattutto per i deboli.
* Università della Calabria