Repubblica. Nella sua agenda l’appuntamento per il vaccino era segnato domenica 5 settembre. Barbara Bertelli, di Viareggio, aveva deciso di aspettare, così le avevano consigliato visto che il Covid lo aveva già avuto a ottobre 2020. Un’unica dose entro i 12 mesi come prevede la recente circolare del ministero della Salute, fatta in extremis prima della scadenza. Barbara si riteneva coperta dal contagio dagli anticorpi naturali prodotti dalla malattia. Così non è stato: ad agosto, insieme alla figlia, si è ammalata di nuovo e il vaccino non ha potuto farlo. Si era persino negativizzata ma, sebbene non avesse alcuna patologia pregressa, il suo fisico non ha retto allo stress della doppia malattia ed è morta.
Anche Paolo Tortora, 61 anni, noto imprenditore del catering di Napoli, aveva già incontrato il Covid a ottobre 2020. E anche lui non aveva ancora voluto vaccinarsi. «Lo faccio in autunno per affrontare l’inverno, tanto ho gli anticorpi», aveva detto. Se n’è andato lunedì dopo settimane di ricovero, gli ultimi 15 giorni intubato.
Due casi in 24 ore ma non sono gli unici. Anche i guariti dal Covid che non si sono vaccinati dopo la malattia con la variante Delta rischiano di riammalarsi in forma grave. Probabilmente perché gli anticorpi naturali prodotti dal virus delle prime ondate non offrono una sufficiente copertura contro la variante Delta. Lo dicono storie come queste ma soprattutto lo dice uno studio dell’Università di Cambridge appena pubblicato su Nature secondo cui l’ultima versione del virus è sei volte meno sensibile agli anticorpi sviluppati da chi ha avuto il Covid-19. È inoltre più infettiva e si moltiplica con più facilità. E visto che ormai la variante Delta è riscontrata nel 99 per cento dei casi in Europa, risuona anche il campanello d’allarme sulla reale efficacia degli anticorpi naturali e sul pericolo che si rivelino un’arma a doppio taglio allontanando dal vaccino chi si ritiene protetto dal contagio. Dalla ricerca è emerso che la variante Delta è 5,7 volte meno sensibile all’attacco degli anticorpi neutralizzanti sviluppati da chi ha già contratto l’infezione durante la prima ondata. E ciò spiegherebbe l’aumento esponenziale dei casi di reinfezione. A rischiare di più è chi ha avuto il Covid da asintomatico o con una carica virale bassa. Secondo un altro studio dei Centers for Disease Control and Prevention Usa, non tutte le persone che guariscono dal Covid sviluppano anticorpi specifici. «Basse cariche virali al tampone nasofaringeo sembrano insufficienti per suscitare una risposta anticorpale sistemica », la conclusione dei ricercatori.
Dei circa dieci milioni di italiani che non hanno ancora ricevuto neanche una dose, quanti sono coloro che rimandano l’appuntamento con il vaccino fino alla fine dei 12 mesi previsti dal ministero della Salute come spazio temporale entro il quale poter fare una sola somministrazione? Una stima non c’è ma sicuramente tanti a giudicare dal larghissimo ricorso al test sierologico nonostante sia ritenuto poco significativo sia perché non esiste un parametro unico sia perché non dice se gli anticorpi rilevati sono neutralizzanti. E infatti la presenza di anticorpi rilevata dal sierologico non è presa in considerazione per il Green Pass.
«C’è chi dice che l’immunità naturale sia complessivamente migliore ma poi quando si ragiona con le singole varianti la cosa può essere diversa — dice Massimo Andreoni, direttore della Società italiana di malattie infettive e primario a Tor Vergata — la mia osservazione è che dipende dalla fragilità del paziente. Ma in ogni caso il mio invito è a vaccinarsi prima possibile a partire dai tre mesi dopo la guarigione. Non c’è alcun motivo per non farlo e si ha la protezione più alta possibile».