di Elena Dusi, Repubblica. A volte ritorna. In Italia 232 mila persone hanno sentito il virus bussare due volte. Le reinfezioni restano rare (il 3,1% dei contagi totali, secondo il monitoraggio settimanale dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) pubblicato ieri), ma dal loro andamento dipende una questione cruciale per il futuro: la pandemia finirà davvero, quando tutti saremo guariti e immunizzati?
La risposta ha due facce. Dall’inizio della pandemia, mostrano sempre i dati Iss, il tasso di reinfezione è rimasto stabile nel tempo e basso: attorno all’1%. La guarigione dunque sembra dare una protezione solida e duratura. L’arrivo di Omicron a dicembre 2021 però ha fatto balzare i ricontagi al 3%. La nuova variante infatti sa sfuggire in parte agli anticorpi. L’eventuale arrivo di nuovi ceppi in futuro potrebbe dunque farci tornare indietro di qualche casella nel sentiero verso l’immunità di popolazione.
Un’analisi simile, per quanto riguarda l’Abruzzo, è stata svolta dalle università di Ferrara e Bologna e dalla Asl di Pescara. I risultati sono leggermente diversi nei numeri, ma positivamente simili nella sostanza. «Il tasso di reinfezione che noi abbiamo visto è più basso rispetto all’Iss, attorno allo 0,3% prima di dicembre e allo 0,6% con Omicron» spiega Lamberto Manzoli, epidemiologo dell’università di Bologna, uno dei coordinatori dello studio pubblicato su MedRxiv che ha preso in considerazione 85 mila contagiati in Abruzzo.
Un aspetto importante resta però immutato, tra dati abruzzesi e dell’Iss: «Il tasso di reinfezione è stabile nel tempo. Non l’abbiamo visto aumentare nei 18 mesi dello studio, fatta eccezione per l’arrivo di Omicron. Questo vuol dire che l’immunità offerta dall’infezione resta stabile ed è più duratura di quella dei vaccini. È una buona notizia. Vuol dire che l’aumento del numero dei guariti fa crescere la copertura della popolazione ». Ci avvicina dunque gradualmente alla fine della pandemia. «Ma attenzione, sempre al netto delle nuove varianti» precisa l’epidemiologo.
Il rischio di infettarsi due volte, prosegue l’Iss nella sua analisi, è più alto nei non vaccinati (circa il doppio), nei giovani (forse meno cauti) e nelle donne (forse perché maggiormente impiegate come maestre e infermiere). Fra chi si è ammalato da più di 7 mesi, l’Iss vede un aumento dell’incidenza, segno che la protezione dei guariti è robusta, ma non totalmente impermeabile al passare del tempo.
«La seconda volta la malattia è più lieve, tranne rari casi» aggiunge Manzoli. Fra le 260 reinfezioni contate nello studio abruzzese (85 mila i casi di partenza), due hanno portato al ricovero e una al decesso. «È presumibile — spiega l’epidemiologo — che i coronavirus si comportino come l’influenza. Una volta guarita, la maggior parte delle persone resta immune a lungo, anche tutta la vita». La frase sembra in contraddizione con i malanni di stagione che (almeno prima del Covid) ci colpivano ogni inverno. «Il problema, in quel caso, è la mutazione del virus. Di fronte a un ceppo nuovo, anche un sistema immunitario allenato viene in parte preso alla sp rovvista». Con oltre 12 milioni di guariti dal Covid (circa un italiano su 5), l’Italia si ritrova abbastanza a buon punto sul sentiero dell’immunità. Sempre che dal mazzo non spunti la carta “imprevisti” con la notizia di una nuova variante.