Non viola il principio di correttezza e buona fede di cui all’art. 16 L. 183/2010, la P.A. che non indichi analiticamente i motivi nell’atto di revoca, quando risulti pacifico tra le parti che vi siano reali ragioni di interesse pubblico alla ricostruzione dell’orario full time.
Con l’ordinanza del 7 marzo 2011 il Tribunale di Firenze, in composizione collegiale, ha accolto il reclamo proposto dal Ministero della Giustizia avverso l’ordinanza emessa dal medesimo Tribunale in data 31/01/11, con cui in precedenza aveva sospeso, accogliendo la domanda cautelare della dipendente, l’efficacia del provvedimento di revoca dell’orario di lavoro part-time.
Con l’entrata il vigore dell’art. 16 della legge n. 183/10 alle pubbliche amministrazioni è attribuito il potere di sottoporre a nuove valutazioni i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, già adottati prima del D.L. n. 112/08, senza che sia richiesto un particolare obbligo di motivazione formale ogniqualvolta siano stati osservati i principi di correttezza e buona fede. In altre parole, ribaltando quanto deciso in precedenza dal Tribunale, a parere del collegio la P.A. può revocare l’orario di lavoro part-time già concesso, in presenza di un reale pregiudizio alla funzionalità dell’ufficio in cui è incardinato il lavoratore, derivante dalla ridotta durata della prestazione lavorativa di quest’ultimo.
D’altro canto, continua il provvedimento, è il difetto di motivazione in senso sostanziale e non in senso formale, a concretare l’inosservanza dei principi di buona fede e correttezza, in mancanza di una specifica previsione legislativa. De facto quindi si sta assistendo, sia a livello legislativo che giurisprudenziale, ad una inversione della rotta stabilita sin dalla legge n.662/1996, che prevedeva una sorta di trasformazione automatica dal tempo pieno al tempo parziale trascorsi 60 giorni dalla domanda del lavoratore.
Ora, dubbi di incostituzionalità a parte, secondo il Giudicante anche le trasformazioni in part-time concesse prima del 25 giugno 2008 possono essere revocate al fine di uniformarle ai rapporti di lavoro stipulati successivamente, se l’amministrazione valuta che la presenza del lavoratore a tempo pieno sia necessaria ai fini dell’operatività dell’ufficio.
Le ripercussioni che ne potrebbero discendere da questa interpretazione sugli oltre 170mila dipendenti pubblici (cioè circa il 4,7% contro il 24,1% dei dipendenti a tempo pieno, secondo i dati riferibili al IV trimestre 2010 pubblicato dall’Istat), che hanno ottenuto la trasformazione del proprio contratto da tempo pieno a part-time secondo le vecchie regole, rendono la decisione di grande rilievo sociale.
In verità, che il forzato ritorno al full-time dei dipendenti sia una questione delicata, ben si comprende dalle circolari inviate agli Uffici giudiziari dal Ministero della Giustizia.
Pur non avendo alcun valenza vincolante nell’interpretazione che i giudici chiamati a decidere dovranno offrire, il Ministero è intervenuto ulteriormente (ultima del 10/02/11) per chiarire le procedure operative di trasformazione che i responsabili della gestione delle risorse umane degli uffici dovranno seguire. E’ chiaro che, tenuto conto della scarna formulazione legislativa e dell’unilateralità con cui l’amministrazione adotta questi provvedimenti di revisione, unico strumento di tutela per il lavoratore rimane la via giurisdizionale: è il Giudice che dovrà perciò valutare in concreto il corretto uso di tale potere.
(Ordinanza Tribunale FIRENZE 07/03/2011, n. 653)
Ipsoa 11 aprile 2011