È stato già trasmesso alla Camera e assegnato alle commissioni Affari Costituzionali e Bilancio il testo di riforma della dirigenza pubblica. Il decreto, attuativo della delega del ministro per la Semplificazione e la Pa, Marianna Madia, aveva ricevuto giovedì scorso il primo sì in Consiglio dei ministri. Montecitorio entro il 25 ottobre dovrà formulare il parere al testo per migrare poi al Senato.
La riforma Madia crea un mercato unico degli incarichi, con paletti precisi per la durata di ciascun mandato e uno stretto collegamento tra obiettivi e stipendio. Per accedere alla dirigenza ci sarà un «corso-concorso» mentre il concorso «classico» servirà solo per far fronte a necessità extra, e non conterà più l’anzianità. Dovrebbe essere questa la norma che creerà maggiore discontinuità rispetto alla situazione attuale. Ma è tutto il pacchetto che promette di creare agitazione nel comparto pubblico.
Chi non centra gli obiettivi rischia di perdere un’abbondante quota della retribuzione, fino al 40%. E nei casi più pesanti si rischia il posto. Insomma, da questo punto di vista dovrebbe cadere il muro che ha sempre separato pubblico e privato. Nel calderone, che non fa più distinzioni tra amministrazioni e fasce, finirà anche la gran parte dei «super capi»: tra loro solo uno su tre potrà contare su un «salvagente». Per il premier Matteo Renzi si dà vita «a un nuovo modello di dirigenza», con un focus sui «premi di risultato». L’opposizione si è fatta subito sentire e l’ex ministro Renato Brunetta ha parlato di possibili profili di incostituzionalità. Il Consiglio dei ministri aveva approvato sempre giovedì, in via preliminare, anche altri tre decreti targati Madia, ovvero il riordino delle Camere di commercio, la sburocratizzazione degli enti di ricerca e lo scorporo del Comitato paraolimpico dal Coni.
Il Corriere della Sera – 28 agosto 2016