Il governo si prepara a dire addio alla maxi riforma del pubblico impiego. Palazzo Chigi e il ministero della Funzione pubblica avrebbero deciso di rinunciare al Testo unico sul lavoro statale al quale da mesi stavano lavorando i tecnici di Palazzo Vidoni. Un provvedimento che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto riscrivere e sistemare tutte le regole che reggono il pubblico impiego, dalle assunzioni ai licenziamenti, dalla mobilità agli scatti di anzianità. La decisione sarebbe una presa d’atto che la fase politica è cambiata, e la spinta propulsiva alle riforme data dal governo Renzi è difficile da mantenere con l’esecutivo di transizione guidato da Paolo Gentiloni. L’intenzione, a questo punto, sarebbe quella di emanare entro febbraio un decreto legislativo che attui i soli punti contenuti all’interno dell’accordo siglato con i sindacati il 30 novembre dello scorso anno per il rinnovo del contratto.
L’intesa, che prevede a regime un aumento di 85 euro, indica alcune specifiche questioni sulle quali intervenire attraverso una modifica delle norme sul pubblico impiego, soprattutto superando le regole che erano state introdotte con la legge Brunetta. Il primo punto riguarda il riequilibrio tra la legge e il contratto. Quest’ultimo dovrà essere privilegiato come strumento per regolare il rapporto di lavoro. Il secondo punto, uno dei più delicati, riguarda la revisione dei meccanismi di assegnazione dei premi per superare proprio le rigidità della legge Brunetta. Questa prevede che il 50% dei premi vada ai lavoratori più bravi, mentre l’ultimo 25% degli statali non otterrebbe nessun incentivo. L’intesa parla invece dell’introduzione di nuovi strumenti di valutazione che garantiscano un’adeguata valorizzazione delle competenze, oltre alla riforma dei fondi per l’erogazione del salario accessorio. L’accordo poi, introduce anche forme di flessibilità dell’orario di lavoro, di contrasto ai fenomeni anomali di assenteismo, di formazione continua e misure di welfare da incentivare fiscalmente.
I NODI DA SCIOGLIERE Tutti questi temi troveranno spazio nel decreto legislativo al quale il governo sta lavorando, mentre il resto della riforma verrebbe lasciato decadere. Già la prossima settimana potrebbero essere presi i primi contatti con i sindacati per decidere insieme i prossimi passi. Del resto lo stesso accordo del 30 novembre prevede una consultazione preventiva con le sigle sulle modifiche normative necessarie ad attuare l’intesa. A quel punto il ministro della Funzione pubblica, Marianna Madia, dovrebbe emanare la direttiva all’Aran, l’Agenzia pubblica che si occupa del pubblico impiego, per avviare la contrattazione vera e propria. Restano tuttavia da sciogliere ancora dei nodi che riguardano le risorse economiche. Il governo si è impegnato ad un aumento a regime in busta paga di 85 euro lordi mensili. Il costo complessivo per le casse dello Stato sarà di 5 miliardi di euro. Per adesso la legge di Stabilità ha previsto solo un fondo di 1,9 miliardi di euro, che dovrà essere assegnato «prevalentemente» al contratto degli statali. La parte restante delle risorse sarà invece utilizzata per la stabilizzazione del bonus da 80 euro per le forze dell’ordine e per lo sblocco parziale del turn over nella pubblica amministrazione. Ma il riparto effettivo di questo fondo è stato affidato ad un decreto del presidente del Consiglio che dovrà essere emanato entro la fine di marzo sentiti il ministero della Difesa e quello dell’Interno. È probabile che i sindacati vogliano avere una certezza sulle risorse e la garanzia di uno stanziamento adeguato anche per il 2018 che al momento non c’è.
Meno paletti sui permessi sindacali
Su permessi e distacchi sindacali si cambia. Nel corso del primo tavolo tra le sigle del pubblico impiego e l’Aran, secondo quando si apprende, si è fatta strada l’ipotesi di abbattere alcuni paletti sull’utilizzo delle cosiddette prerogative sindacali, fatto salvo il monte ore, dimezzato con il decreto Madia del 2014. Decreto che prevedeva anche «forme di utilizzo compensativo tra distacchi e permessi sindacali». Passaggio finora inattuato. Si tratta quindi di rendere più flessibili i confini tra le due diverse prerogative. In realtà anche oggi è possibile il cumulo di ore di permesso per ottenere un distacco ma all’interno di limiti rigidi. Le modifiche in ballo invece puntano a rendere intercambiabili i diritti, in entrambi i sensi, consentendo anche lo scongelamento dei distacchi. Tante sono le richieste presentate dai sindacati, tra cui anche una banca unica dei permessi. L’Aran si è impegnata a valutarle e a convocare una nuova riunione tra dieci giorni, con l’obiettivo di stringere un accordo senza dilatare i tempi ma cercando di aggiornare una materia sostanzialmente ferma dalla fine degli anni 90.
Il Messaggero – 11 gennaio 2017