Sin dall’inizio, è stata una delle principali promesse della riforma del Pubblico impiego. Da quando la notte di Capodanno di due anni fa, i vigili di Roma si diedero malati in massa. La lotta all’assenteismo nella Pubblica amministrazione, non sarà combattuta soltanto rafforzando le norme che permetteranno di licenziare chi marina in modo «seriale» il lavoro, magari non presentandosi il lunedì, il venerdì o i giorni prefestivi.
L’intenzione è quella di responsabilizzare anche i dipendenti più ligi ad una sorta di controllo sui loro colleghi furbetti. La bozza di decreto messo a punto dai tecnici del ministero della Funzione pubblica per la riforma del pubblico impiego, prevede che in caso di elevati tassi di assenteismo la quota di salario accessorio che spetta ai tutti i dipendenti venga ridotta in proporzione. La previsione sarebbe anche coerente con l’accordo firmato il 30 novembre scorso con i sindacati per il rinnovo del contratto, nel quale era stato introdotti principi di lotta agli sprechi, al precariato e alle anomale percentuali di assenteismo.
L’INDICAZIONE L’intenzione sembrerebbe quella di fare in modo che siano gli stessi dipendenti a segnalare comportamenti scorretti dei propri colleghi in un meccanismo di controllo reciproco. Nella bozza di testo predisposta dai tecnici del ministro Marianna Madia, non c’è invece ancora nessuna indicazione su uno dei punti ritenuti dirimenti nella trattativa per il rinnovo del contratto, ossia il superamento della legge Brunetta proprio per quando riguarda le valutazioni e l’assegnazione del salario accessorio e dei premi. Come noto la Brunetta prevede un sistema di premialità obbligatorio, per cui al 25% dei dirigenti con le pagelle più alte, dovrebbe essere assegnato il 50% delle risorse complessive per i premi. Al 25% dei dipendenti con le pagelle peggiori, non andrebbe nulla, mentre al 50% che sta a metà tra i migliori e i peggiori, andrebbe il restante 50% degli incentivi monetari. I sindacati hanno sempre contestato duramente questo sistema rigido. Il governo, nell’accordo firmato il 30 novembre scorso con le sigle, si è impegnato a modificarlo. Ma per le vie brevi, avrebbe manifestato agli stessi sindacati la volontà di mantenere comunque una sorta di premio obbligatorio per le «eccellenze». Un altro aspetto che sarebbe stato chiarito definitivamente, è che la vigenza del contratto sarà dal 2016 al 2018. Una indicazione importante, perché era circolata l’ipotesi che si potesse allungare la valenza fino al 2019. Questo avrebbe significato che l’aumento degli 85 euro lordi mensili, sarebbe andato a regime solo quell’anno. In questo modo, invece, gli 85 euro saranno pieni già dal prossimo anno. Non solo. Per il 2016 ci sarà una piccola quota di arretrati di circa 10 euro lordi mensili medi. Martedì prossimo il governo proverà a ottenere il via libera dalla Conferenza delle Regioni sul testo della riforma, che intanto è stata condivisa in bozza anche con i sindacati e inviata anche ad una decina di professori universitari per acquisirne i punti di vista.
Il Messaggero – 3 febbraio 2017