C’è l’ombra del referendum anche sul contratto della pubblica amministrazione. Dopo una fitta serie di incontri informali, il governo ha accelerato, e ieri sembrava tutto pronto per la firma. Il ministro Marianna Madia aveva espresso l’auspicio che si aprisse «una giornata produttiva e proficua per segnare un risultato importante per il nostro Paese, per la P.a., per i cittadini e i lavoratori pubblici».
Ma poi al tavolo con Cgil, Cisl, Uil, mentre l’Usb protestava sotto le finestre del ministero della Funzione Pubblica contro la propria esclusione, la trattativa si è arenata su due questioni: l’entità dell’aumento contrattuale e in generale delle risorse stanziate per la P.A. e l’estensione dell’abrogazione della legge Brunetta anche alla scuola, in modo da riportare una serie di materie importanti nell’ambito della contrattazione, a cominciare dagli accordi di secondo livello.
Quanto all’aumento, tutti d’accordo sul fatto che si tratti di 85 euro, si è sempre parlato di questa cifra. Ma per Madia si tratta di un aumento medio pro capite, i sindacati invece insistono perché non si scenda al di sotto di questa cifra per nessun dipendente. Con alcune sfumature, però: la posizione dei confederali è unica, ma Cgil e Uil appaiono trincerarsi con maggiore forza sulla cifra. «Noi confermiamo la nostra rivendicazione di un incremento non inferiore a 85 euro e chiediamo che l’equilibrio tra legge e contratto valga per tutti. – dice il segretario confederale della Uil Antonio Foccillo – Il nostro auspicio è che nelle prossime ore si possa sbloccare, finalmente, questa pluriennale irrisolta vertenza ». E infatti il contratto degli statali è fermo dal 2009, una ragione di più per chiudere senza «fare guerre ideologiche», auspica il segretario confederale della Cisl Maurizio Bernava. «Non sono nodi insormontabili – obietta -. S’è fatto un gran bel lavoro, siamo molto avanti rispetto a quello che volevamo. Sarebbe assurdo vanificare tutto. Invece bisogna dare fiducia al Paese, e questa è un’intesa che dà fiducia, parla un linguaggio positivo dopo anni di umiliazioni e di aggressione alla pubblica amministrazione».
La trattativa è sospesa: potrebbe riaprirsi in qualunque momento, e in effetti i sindacati si aspettavano già di essere richiamati dopo il Consiglio dei ministri che tra l’altro ha dato il via libera al decreto sulla dirigenza pubblica. Il fatto che non si sia tornati al tavolo è un segno delle difficoltà del governo: partire da un aumento minimo anziché medio di 85 euro significa probabilmente impiegare totalmente i 1900 milioni del Fondo della P.A., e invece ci sono altre esigenze in campo, tra le quali quella dell’estensione degli 80 euro ai dipendenti delle forze dell’ordine. E infatti i sindacati chiedono anche di sapere quali siano le risorse messe in campo dalla legge di Bilancio per il 2017 e il 2018. Cisl e Uil chiedono di tornare al tavolo, in fretta, sapendo che slittare a dopo il refendum vanificherebbe un risultato ormai a portata di mano. La Cgil al momento non si pronuncia.
Repubblica – 25 novembre 2016
Pubblico impiego, si tratta sull’aumento di 85 euro. Altro tema sul tavolo l’estensione alla scuola delle nuove regole sulla produttività
Vanno bene gli 85 euro di aumento a regime, ma «medi» come intende il governo o «minimi» come da richiesta sindacale? È sospesa su questo punto la trattativa sull’accordo per il rinnovo del contratto del pubblico impiego, avviata ieri con l’incontro fra la ministra per la Pa e la Semplificazione Marianna Madia e i sindacati confederali. In discussione, poi, c’è l’inclusione della scuola nel raggio d’azione di un’intesa che punta anche a rivedere le regole per la distribuzione dei premi di produttività e la divisione dei compiti fra leggi e contratto, anticipando l’indirizzo che andrà tradotto in pratica nel testo unico del pubblico impiego.
I due nodi sono pesanti, sia sul piano politico sia su quello tecnico, ma non sembrano tali da chiudere la strada verso un’intesa politica sul modello di quella firmata sulle pensioni prima della manovra. Il confronto continua sul piano tecnico, e potrebbe tradursi a breve in una nuova convocazione, in un calendario che inevitabilmente si intreccia con gli ultimi giorni di attesa del referendum.
Al tavolo la ministra Madia ha portato l’impegno del governo per un aumento medio a regime da 85 euro, calcolandolo sulla linea delle dinamiche registrate nei principali comparti del settore privato, insieme alla conferma della disponibilità a rivedere i meccanismi della riforma Brunetta sui «premi» di produttività, ridando peso ai contratti anche su questi aspetti.
Sul piano delle regole, in realtà, le intenzioni di governo e sindacati convergono, e sono al centro di incontri tecnici andati avanti per mesi sia all’Aran sia alla Funzione pubblica. Il punto critico è rappresentato dalla scuola, per due ragioni: lo strumento normativo per mettere in pratica l’accordo è il testo unico del pubblico impiego, attuativo della delega Pa da cui la scuola è esclusa. Le regole per questo settore, poi, sono state fissate dalla «Buona scuola», inderogabile dai contratti, ed è difficile che il governo rimetta in discussione uno dei provvedimenti chiave del proprio programma.
Sugli 85 euro, il punto è sia finanziario sia politico. Per ora si tratta di un impegno politico ad arrivare a quella cifra nel 2018, ma l’intenzione più volte ribadita dalla stessa ministra Madia è quella di privilegiare negli aumenti i redditi più bassi: un meccanismo che non andrebbe d’accordo con un tetto minimo agli aumenti, difficile anche da coprire.
Il Sole 24 Ore – 25 novembre 2016