di Francesco Grignetti. Galleggiamento, addio. Per gli statali cade un altro piccolo, antico privilegio: conservare lo stipendio anche quando si cessa da un incarico importante e si torna alle mansioni originarie. Arriva un emendamento di Andrea Giorgis, Pd, alla Legge di Stabilità che cambia le regole del cosiddetto «divieto di reformatio in peius».
In pratica, l’impossibilità di tornare indietro. «Vorrei che fosse chiaro – dice Giorgis – che la nostra non è una proposta contro la pubblica amministrazione, ma al contrario a sua difesa, per eliminare contraddizioni e irragionevolezze che sempre meno vengono capite». Il governo è d’accordo. «Principio sacrosanto – commenta il ministro Gianpiero D’Alia, Pubblica amministrazione – perché il trattamento economico dev’essere commisurato alla funzione. Si è pagati per quel che si fa, non per quello che si è fatto».
Una lunga lotta, quella condotta contro il «galleggiamento». I «galleggiamenti», anzi. I cultori della materia ricordano che fu nel 1987 che una leggina introdusse la prima forma di galleggiamento per quelli che all’epoca erano militari di carriera: si prevedeva che non potesse esserci sperequazione di trattamento tra chi si occupava di cose uguali. E così però era sufficiente che un ufficiale dal trattamento economico più elevato transitasse di grado, anche per un solo giorno, per far corrispondere l’identico trattamento economico a tutti i colleghi. Ne approfittarono subito i magistrati dei Tar, del Consiglio di Stato, e via così. Cominciarono a galleggiare anche le retribuzioni di magistrati e parlamentari. E poi si agganciarono al galleggiante anche i consiglieri regionali. Tutti protesi nella corsa all’insù, come turaccioli. Un primo freno, raccontano le cronache, arrivò dal governo Goria nel 1992.
Ma la fantasia italica non conosce limiti e nel frattempo nasceva un altro galleggiamento molto ambito nel mondo della pubblica amministrazione. Quello di chi conserva vita natural durante lo stipendio maturato durante un incarico temporaneo.
Accadeva con i magistrati «prestati» temporaneamente alla Corte costituzionale, oppure al Csm, o al Parlamento: incarichi di prestigio e meglio pagati. Ma quando tornavano nei ranghi, il cedolino era lo stesso. Oppure con chi riceveva, nell’ambito di un ufficio comunale o regionale, una promozione fiduciaria. Capitava spesso e volentieri che poi, con i cambi di maggioranza, ci fosse un valzer di promozioni. E chi tornava indietro aveva comunque il vantaggio di conservare la retribuzione più grassa. «Ai professori universitari – ricorda Giorgis, che questa materia ben la conosce essendo docente di Diritto costituzionale all’Università di Torino – è dal 2012 che il galleggiamento è stato cancellato. Accadeva spesso che qualcuno avesse un incarico presso una Authority oppure presso il Consiglio superiore della magistratura. Quando rientrava all’università, però, lo stipendio era ormai blindato».
Un tema che Giorgis aveva sollevato in Parlamento già qualche mese fa, «perché è giunto il momento di superare una prassi che ha determinato una disparità di trattamento tra persone che hanno la medesima anzianità e svolgono la medesima attività lavorativa». In quell’occasione gli rispose il viceministro Stefano Fassina: «Tale principio è stato invocato più volte anche in sede contenziosa e la prevalente giurisprudenza formatasi sulla materia lo ha ritenuto applicabile anche a seguito della privatizzazione del pubblico impiego. Si è dell’avviso che la questione dovrebbe essere affrontata mediante appositi interventi legislativi. Certamente necessari».
Il Sole 24 Ore – 15 dicembre 2013