di Gianni Trovati. Gli annunci costano, se i fatti non seguono. La storia recente della pubblica amministrazione italiana è lì a mostrarlo: riforme “strategiche” più o meno audaci sono state il pane quotidiano del dibattito di questi anni, ma non sono mai state tradotte in pratica con il risultato che, per recuperare risorse, si sono usati i metodi più rozzi: blocco del turn over, congelamento dei contratti, «cristallizzazione» degli stipendi individuali.
Oltre che rozzi, questi strumenti sono anche iniqui, perché colpiscono i molti che guadagnano poco e lasciano quasi indenni i pochi che guadagnano molto o moltissimo. Anche il «contributo di solidarietà», che ha provato a tagliare le retribuzioni più alte, è stato restituito ai diretti interessati fino all’ultimo centesimo, perché la sua incerta architettura non ha potuto reggere alle obiezioni della Corte costituzionale. Tra 2010 e 2014, conti pubblici alla mano, i risparmi totali volano a 12 miliardi, ma sono stati ottenuti al prezzo di mantenere inalterati i difetti della nostra Pa con un meccanismo che non può durare in eterno: i vincoli lineari al turn over fanno invecchiare l’amministrazione (e mettono a rischio i conti Inps-Inpdap), contratti e stipendi, bloccati da cinque anni, non possono restare fermi per sempre, la tensione è già alta (lo dimostra la recente vicenda degli scatti per gli insegnanti) e complica il debutto di nuovi progetti di riforma. Il Governo lo sa, e nei primi “tavoli” sul tema ha assicurato di non voler fare una riforma “contro” la pubblica amministrazione. Si vedrà, ma un dato è certo: un altro buco nell’acqua è fuori dalle possibilità di questo Paese.
Il Sole 24 Ore – 24 marzo 2014