Lentamente, si stanno ridefinendo i contorni istituzionali del Veneto. Non è facile, e sicuro non poteva esserlo dopo l’abolizione delle Province, ma l’accordo firmato ieri a Palazzo Balbi tra la Regione, l’Upi e l’Anci, uno dei primi nel suo genere in Italia, costituisce un passo in avanti importante per fare chiarezza rispetto al futuro degli «enti di mezzo» (che ora si preferiscono chiamare «aree vaste»), i servizi che questi dovranno continuare a garantire ai cittadini (dalla manutenzione delle strade a quella delle scuole superiori) e i loro dipendenti.
Si tratta, in buona sostanza, dell’atto applicativo della legge regionale 19 del 2015, che a sua volta ha recepito in Veneto la legge Delrio, un testo su cui i tecnici sono al lavoro dall’ottobre scorso.
Centrale, come ha spiegato il vice governatore con delega agli Enti locali Gianluca Forcolin, resta la questione finanziaria: la Regione si impegna a mettere a disposizione delle Province e della città metropolitana di Venezia 36 milioni di euro quest’anno (un milione in più di quanto previsto col bilancio di previsione), fermi restando gli accordi già siglati sul mercato del lavoro e i servizi sociali, budget che salirà nel 2017 a 40 milioni. Il prossimo anno, però, rimane un’incognita, sia perché il governo non ha ancora ritirato l’annunciato taglio di 1 miliardo previsto dalla scorsa legge di Stabilità («Una scelta che, se confermata, sarà insostenibile e ci costringerà a chiudere i battenti» avverte il sindaco-presidente della Provincia di Vicenza Achille Variati, che è anche presidente nazionale dell’Upi) sia perché da Roma ancora non è chiaro che accadrà ai centri per l’impiego, che sarebbero dovuti confluire in un’unica Agenzia nazionale per il lavoro ma a tutt’oggi restano tra le competenze delle Province. «Sia chiaro – commenta Variati – noi non chiediamo soldi per tenere aperti dei baracconi ma per continuare a garantire ai cittadini lo svolgimento delle funzioni essenziali, ossia strade, scuole e ambiente, e di quelle delegateci dalla Regione (dal turismo all’industria, dal lavoro all’urbanistica, dalla difesa del suolo al sociale, ndr .). In questi mesi abbiamo applicato misure di efficientamento senza precedenti, soprattutto se paragonate a quelle dei ministeri: la spesa per il personale è stata tagliata del 50%, il costo della politica è stato azzerato e lo stesso vale per le spese secondarie come quelle di rappresentanza, l’indebitamento è bloccato, i mutui sono stati rinegoziati. Sulle funzioni essenziali ci erano stati chiesti risparmi a livello nazionale per 450 milioni, sulla base degli studi della Sose, ne abbiamo fatti per 100 milioni in più. Complessivamente, le province italiane hanno ridotto le loro spese di circa 2 miliardi. Si fa presto a fare il calcolo per il Veneto». Che da sempre incide sulla spesa pubblica per una percentuale che oscilla tra l’8 e il 10%. «Ovunque era possibile – ha fatto eco Forcolin – sono state eliminate le sacche di spreco». I bilanci, grazie agli avanzi di amministrazione, saranno chiusi tutti in pareggio, assicura Variati, compreso quello di Belluno che ha goduto della «solidarietà» delle altre Province su un plafond da 100 milioni e ha potuto così tappare la falla che si era venuta a creare nella gestione delle strade.
Entro 60 giorni la Regione, che avrà poteri di programmazione e indirizzo, e le Province, che avranno poteri prettamente gestionali, si ritroveranno per fare il punto sul processo di riorganizzazione delle funzioni (è possibile che alcune tornino in capo alla Regione o vengano diversamente modulate tra i due enti), anche sulla base di «standard minimi di servizio», mentre entro 90 giorni Province e città metropolitana dovranno sottoporre a Palazzo Balbi una ricognizione delle società, degli enti strumentali e delle agenzie partecipate, ovviamente con l’obiettivo di procedere anche lì con un repulisti. Riconosciuta la specificità di Belluno e della città metropolitana di Venezia, non sembra invece più all’ordine del giorno, superata dalle urgenze del contingente, l’idea della PaTreVe e della ViVeRo, le due grandi «aree metropolitane»che avrebbero dovuto andare addirittura oltre le aree vaste. «Il sogno rimane – ha detto Variati – ma al momento abbiamo altro a cui pensare». Esclusa, sempre per il momento, anche la possibilità di fare delle Province della camere di compensazione politica tra sindaci, ad esempio per la gestione condivisa dell’emergenza profughi: di fatto, gli «enti di mezzo» si configurano sempre più come organi gestionali, tecnici. «La casa dei Comuni» la chiama Variati, senza orticelli e steccati politici.
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 27 settembre 2016