Il governo le ha congelate per evitare nuove elezioni ma, in attesa dell’eliminazione per via legislativa, sta succedendo di tutto. C’è chi fa causa allo Stato per ottenere fondi, chi ha chiesto aiuto per evitare il default e chi si è addirittura messo a vendere legname. Apocalittico, il presidente dell’Unione delle province Antonio Saitta prefigura il caos per l’Italia con la loro eliminazione. Il governatore lombardo Roberto Maroni ipotizza di ricorrere alla Corte costituzionale. A Benevento, Isernia e Matera si invoca addirittura l’intervento della Commissione europea. Date per morte innumerevoli volte, le province hanno mostrato una capacità di sopravvivenza sorprendente. Nel 2011 la caduta del governo Berlusconi le ha salvate dall’accorpamento e la scorsa estate la Consulta le ha messe al sicuro dalla scure di Mario Monti.
Adesso sono state tutte commissariate e “congelate” per scongiurare nuove elezioni. Ma nel frattempo nei 110 enti avviati all’estinzione la situazione, specialmente economica, è pessima. L’Espresso ha effettuato una ricognizione e scoperto di tutto, fra cause legali con lo Stato per racimolare un po’ di denaro, dismissioni e perfino la vendita della legna del demanio.
Intanto nelle regioni a statuto speciale la riforma è ferma e lo spettro delle elezioni anticipate rende la strada più che mai impervia. Che alla fine questi enti si confermino l’araba fenice capace di risorgere dalle proprie ceneri?
MELINA SARDA L’emblema dell’impasse è la Sardegna, dove già nel 2012 un referendum aveva chiesto l’abolizione delle province. A Cagliari la riforma è saltata dopo una sfiancante corsa a ostacoli fatta di dilazioni e differimenti. La riforma costituzionale è stata approvata e mandata alle Camere per la doppia lettura e per completare il quadro serviva il via libera alla nuova organizzazione territoriale. Il testo del provvedimento era pronto ma per settimane il Consiglio regionale si è occupato di altro. Risultato: nulla di fatto per svariati altri mesi. Il 16 febbraio infatti nell’isola si vota e l’ultimo tassello lo dovrà mettere la prossima giunta.
TRINACRIA AMARA Peggio ancora in Sicilia, dove la riforma rischia di saltare a un miglio dal traguardo. La sostituzione delle province con le città metropolitane (Palermo, Catania, Messina) e il varo dei “liberi consorzi tra comuni” erano fissati al 31 dicembre scorso. La legge però non è stata approvata in tempo. Adesso Crocetta entro febbraio deve condurre in porto la riforma, altrimenti le province risusciteranno col voto. Oltre al danno, la beffa.
Nessun problema coi franchi tiratori, invece, in Friuli dove la soppressione è stata votata all’unanimità da tutti i partiti. Anche in questo caso servirà però l’approvazione del Parlamento per rendere la legge effettiva. E considerati i venti di guerra che soffiano sull’esecutivo, l’approvazione in questa legislatura sembra appesa a un filo.
COME LA GRECIA Nelle regioni ordinarie non va meglio, tanto che il governo Monti ha creato un fondo “salva enti locali” simile a quello europeo per fronteggiare i dissesti finanziari sempre più frequenti: le amministrazioni a rischio default possono chiedere aiuto al ministero dell’Interno in cambio di un drastico piano di rientro monitorato dalla Corte dei conti. Ad avervi fatto ricorso è stata la Provincia di Chieti, che nei prossimi anni dovrà tagliare una decina milioni per finanziare il disavanzo. Enna ha rischiato di fare altrettanto dopo i tagli della Regione, col rischio di dover chiudere il liceo linguistico cittadino e la sede distaccata per l’impossibilità di pagare gli stipendi. Almeno per ora il rischio pare tuttavia scongiurato con un reintegro parziale degli stanziamenti.
RIMETTI I NOSTRI CREDITI Rimasti al verde, diversi enti per assicurare i servizi essenziali hanno battuto cassa allo Stato chiedendo il pagamento dei crediti non saldati. In tutto circa due miliardi, secondo le stime. Non avendo ricevuto risposta, alcune province sono passate alle vie di fatto e con un decreto ingiuntivo sono riuscite a ottenere i soldi. È il caso di Venezia (44 milioni), Padova (36 milioni), Treviso (24 milioni), Teramo (15 milioni) e Arezzo (10 milioni). Vedendo che funzionava, negli ultimi mesi hanno deciso di seguire questa strada anche a Torino (che reclama 103 milioni), Isernia (17,5 milioni) e Genova (32,6 milioni), che reclama gli affitti per la sede della Prefettura e di numerose caserme.
VENDO TUTTO Altre province per fare cassa hanno iniziato a dire addio ai sogni di gloria e a spogliarsi delle partecipazioni. Una pratica del tutto bipartisan. A Imperia la maggioranza di centrodestra ha autorizzato la cessione delle azioni dell’autostrada Savona-Ventimiglia per ricavare una decina di milioni da destinare al riequilibrio finanziario. Biella, commissariata, ha ceduto le quote dell’aeroporto Cerrione e lo stesso ha fatto a Firenze la giunta di centrosinistra con quelle dello scalo “Galileo Galilei” di Pisa. A Palermo, non potendo ricapitalizzare la spa che sovrintende Punta Raisi, la Provincia ha mantenuto una piccola quota per continuare a esercitare un controllo attraverso i suoi rappresentanti in cda.
Con la crisi della liquidità, però, non sempre le buone intenzioni vengono coronate dal successo. A Milano da oltre tre anni Palazzo Isimbardi sta cercando di disfarsi del 10 per cento della Expo 2015 spa. Finora senza successo.
Paradossale la situazione di Cuneo, dove 14 comuni hanno rifiutato le strade dismesse dalla Provincia: non hanno i soldi per farsi carico della manutenzione. Ma il caso più indicativo è quello di Vercelli, che ha stilato un piano alienazioni per far fronte alla riduzione dei trasferimenti statali. E dopo il palazzo della presidenza, le case cantoniere e i terreni, l’ente ha messo in vendita anche la legna degli alberi cresciuti nelle aree demaniali.
BUON ESEMPIO A METÀ A Livorno la giunta ha cercato di limitare l’impatto dei tagli riducendosi lo stipendio: circa 750 euro al mese per il presidente Giorgio Kutufà e i suoi nove assessori. I risparmi, 90 mila euro l’anno, andranno a progetti di sostegno per i disabili. A Cagliari, stretto fra il patto di stabilità e i minori trasferimenti (circa 16 milioni), il commissario straordinario Pietro Cadau ha tagliato i contributi alle sagre e alle feste di paese per finanziare la messa a norma delle scuole superiori e la manutenzione stradale.
Ma senza andare troppo lontano, la situazione non sembra ovunque così disperata. A Sassari la scorsa estate la Provincia ha liquidato a nove dirigenti, che già godono di uno stipendio da circa 90 mila euro l’anno, un bonus annuo da 68 mila euro ciascuno. Costo complessivo dell’operazione-premio: 615 mila euro.
L’Espresso – 14 febbraio 2014