Foggia, Salerno e Lecce guidano la classifica degli “esuberi” veri e propri, cioè di quel personale che deve uscire dalla Provincia alleggerita dalla riforma ma non ha ancora una nuova destinazione; da Roma, Torino e Napoli partono invece le strade più affollate per l’uscita anticipata, aperta dalla manovra dello scorso anno che ha permesso il pensionamento per il personale provinciale che raggiunge i requisiti pre-Fornero entro la fine del 2016.
Dopo tanta fatica, la geografia degli spostamenti per i dipendenti delle Province chiamati a uscire dai loro vecchi uffici perché la riforma Delrio ha ridotto le funzioni degli enti di area vasta comincia a essere chiara. Non del tutto, perché in Lazio, Campania e Molise il cantiere è ancora aperto, ma le sanzioni minacciate alle tante Regioni che per mesi hanno tardato ad approvare le loro leggi attuative ha in molti casi accelerato la pratica. La nebbia che ha cominciato a diradarsi sul versante normativo, però, rimane ancora fitta sul piano operativo, perché praticamente nessuno di questi spostamenti è stato ancora realizzato e il 1° gennaio, data entro la quale il nuovo assetto dovrebbe essere realizzato, è vicinissimo. La condizione dei bilanci nelle Città metropolitane e soprattutto nelle Province, poi, non offre molte certezze nemmeno al personale destinato a rimanere al proprio posto perché impegnato in funzioni che non traslocano.
I numeri, prima di tutto. Dei quasi 50mila dipendenti negli organici di Città metropolitane e Province, per ora sono 16.237 i nomi che le amministrazioni locali hanno inserito nel Portale nazionale della mobilità, il cervellone telematico della Funzione pubblica che avrebbe dovuto incrociare la domanda di lavoro dei «soprannumerari» provinciali con l’offerta degli altri enti ma che nei fatti ha finora si è limitato a censire il personale “di troppo”. Proprio l’approvazione delle leggi regionali, che insieme al lungo iter dei decreti sulla mobilità ha rappresentato l’ostacolo principale all’avvio effettivo della riforma, ha dato una grossa mano alla ricollocazione del personale, perché 5.575 persone entreranno direttamente nei ruoli delle regioni insieme ai servizi finora svolti dalle Province. Tutto, però, sta a capire entro quando avverrà questo passaggio. La Toscana è stata l’apripista nell’attuazione, approvando in via definitiva la propria legge nei primi giorni di marzo, e con 1.227 ricollocazioni primeggia anche nei numeri dell’”accoglienza” del personale ex provinciale, seguita dai 1.202 dell’Emilia Romagna. Finora, però, tutti i dipendenti interessati rimangono nei ruoli (e nei bilanci) delle Province, perché nel frattempo si sta lavorando alle sedi e al trasferimento di uffici e strutture. Se questa è la condizione della Regione più pronta nell’attuazione della Delrio, è ovvio che la strada si rivela ancora più lunga negli altri territori.
Sono in 5.337, invece, i dipendenti di Province e Città metropolitane che fino a oggi si sono occupati dei centri per l’impiego, funzione persa dai nuovi enti alleggeriti dopo la riforma Delrio. Anche per loro la transizione passa dalle Regioni, che dovrebbero farsi carico in modo temporaneo di questo personale anche grazie ai 180 milioni di copertura in due anni messi a disposizione dall’Accordo quadro siglato da governo e Regioni prima della pausa estiva. Anche questa condizione, però, è transitoria, perché è ancora da definire la collocazione delle politiche del lavoro nel nuovo riparto di competenze fra Stato e Regioni che scaturirà dalla riforma costituzionale.
Le incognite maggiori, però, circondano la sorte dei 1.957 dipendenti che non rientrano nei nuovi organici provinciali, ma che non hanno ancora individuato una nuova collocazione. Il problema dipende anche dal fatto che solo venerdì scorso è stato risolto l’inciampo tecnico che sinora non ha permesso ai Comuni di inserire i propri posti disponibili, per cui al momento non è stato possibile incrociare domanda e offerta. Secondo il calendario scritto nel decreto ministeriale sulla mobilità, tutto questo complesso risiko degli organici avrebbe dovuto concludersi entro il 31 marzo, ma i ritardi hanno finora caratterizzato tutte le tappe del processo e non è difficile prevedere nuovi sforamenti.
L’attesa, insomma, si allunga, e coinvolge anche chi in Provincia non ha mai messo piede, ma si trova in posizione utile in una delle graduatorie nate dai concorsi banditi dai Comuni e poi “congelati” per permettere lo spostamento degli ex provinciali. Nei giorni scorsi il Governo ha annunciato la ripartenza della macchina delle assunzioni, con la firma del ministro della Pa, Marianna Madia, a un decreto che apre le porte a un centinaio di posizioni nello Stato, tra carriera diplomatica e prefettizia e i dirigenti del VI corso concorso della Sna, ma per la maggioranza degli interessat i l’attesa non si annuncia breve.
Gli effetti. La mobilità a rilento peggiora i bilanci. Lo sforamento al 2016 è «ufficiale»
Anche il prossimo anno i bilanci sempre più asfittici delle Province e delle Città metropolitane dovranno farsi carico di una parte del personale che secondo i programmi iniziali avrebbe dovuto trovare un’altra collocazione già da tempo. Accanto ai dipendenti in uscita con le regole pre-Fornero, che vanno pagati fino al pensionamento, ci sono i 1.957 “esuberi” veri e propri, cioè il personale che non rientra nelle funzioni rimaste in capo ai vecchi enti di area vasta ma non si è ancora visto assegnare una nuova destinazione perché l’incrocio di domanda e offerta con gli altri enti non è ancora stato attivato.
Il calendario scritto nel decreto di settembre sulla mobilità, con il conto alla rovescia che è potuto iniziare solo a fine settembre dopo il via libera della Corte dei conti, prevedeva la «presa in servizio» dell’ultimo dipendente trasferito entro il 31 marzo prossimo. Già da tempo, quindi, lo “sforamento” al 2016 è diventato ufficiale: il problema è che lo stesso cronoprogramma spiegava che l’offerta di posti da parte degli altri enti pubblici con disponibilità in organico per accogliere gli ex provinciali sarebbe stata definita entro novembre, ma per quel che riguarda le funzioni generali il meccanismo deve in pratica ancora partire. Non è difficile allora prevedere tempi più lunghi, ma mai come in questa riforma è evidente che i ritardi hanno un costo immediato.
Il taglio miliardario scritto nella legge di Stabilità dell’anno scorso era stato infatti motivato con il fatto che le Province si sarebbero alleggerite di metà del personale ( nel caso delle Città metropolitane il taglio era del 30%) e quindi avrebbero avuto meno costi fissi da sostenere. Il 2015 è ormai arrivato alla fine senza essere teatro di particolari esodi dei dipendenti provinciali, ma è ovvio che qualsiasi sforamento nel 2016 peggiora la situazione.
Anche perché, a differenza di quella della mobilità, la macchina dei tagli procede a ritmo serrato, in presenza di una spesa delle province in caduta libera. Un lavorio intenso nei mesi scorsi ha provato a limitare i danni, permettendo alle Province di scrivere un bilancio solo annuale (e quindi certificando che i conti degli anni successivi non tornano), di non pagare le rate dei mutui con la Cdp e così via. La stessa logica, in assenza di significative coperture alternative, torna con la legge di Stabilità di quest’anno. Ma ha il fiato corto.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 14 dicembre 2015