Alla vigilia della presentazione del ddl di riforma costituzionale avevamo scritto che Renzi sembrava orientato a dare l’esclusiva della competenza legislativa sanitaria alle Regioni, fatti salvi i Lea e i principi generali. Alla fine non è andata così, ma quanto scrivevamo trova però conferma nella lettura della prima bozza del testo di riforma che Palazzo Chigi ha pubblicato a fianco del testo definitivo approvato lunedì scorso.
Anzi. La lettura della bozza, e in particolare dell’art. 117, presenta una scelta originaria ancor più regionalista di quella da noi ipotizzata. Secondo quanto previsto nella prima stesura del ddl, infatti, allo Stato sarebbero rimasti solo i Lea – lettera m) dell’art. 117 – mentre anche la garanzia della competenza statale sui principi generali in materia di salute veniva meno.
C’era sì la cosiddetta “clausola di salvaguardia” che prevedeva (e prevede anche nel testo finale) che la legge dello Stato possa intervenire in materie o funzioni non riservate alla legislazione esclusiva dello Stato, “quando ricorrono esigenze di tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica o di realizzazione di riforme economico-sociali di interesse nazionale”, ma nella sostanza, come avevamo scritto, la materia “tutela della salute”, nella prima bozza del ddl, passava in esclusiva alle Regioni.
Nei quindici giorni passati dalla presentazione di quel testo a lunedì 31 marzo, quando il Governo ha varato il testo definitivo, qualcosa è cambiato e qualcosa deve essere successo. E infatti, con un comma aggiuntivo alla lettera m) dell’art. 117, (sempre quella che riguarda i Lea), il Governo ha deciso di avocare allo Stato la competenza esclusiva delle “norme generali per la tutela della salute”, dando alle Regioni l’esclusività legislativa “solo” per l’organizzazione dei servizi sanitari, mantenendo in ogni caso la clausola di salvaguardia anche su quelle norme.
Un cambiamento di non poco conto, che divide nettamente le competenze in materia di sanità: allo Stato i Lea e le norme generali (un concetto molto vasto che teoricamente, come ci ha detto nella nostra intervista l’ex ministro e costituzionalista Renato Balduzzi, comprende una massa enorme di potenziali atti normativi in materia); mentre alle Regioni vanno in esclusiva gli ambiti organizzativi del servizio sanitario regionale.
Sulla carta potrebbe sembrare una soluzione con una sua logica – lo Stato che finanzia mantiene le redini del gioco sul piano nazionale, mentre le Regioni che gestiscono diventano autonome sul come farlo – ma a ben vedere, se lo scopo primario della riforma renziana è quello di farla finita col contenzioso sulle competenze legislative derivante dalla concorrenzialità, con questa soluzione siamo molto dubbiosi che tale risultato sarà raggiunto.
Al contrario, il rischio che Regioni e Governo, ma anche il Parlamento, si ritrovino a litigare, quanto se non più di prima, sul “chi fa che cosa” in sanità è altissimo essendo molto labile il confine interpretativo tra “norma generale”, e quindi teoricamente nazionale, e norma “organizzativa”, teoricamente di sfera regionale.
C.F. – Quotidiano sanità – 3 aprile 2014