Il Corriere del Veneto. Non è una novità, per il Tribunale del Malato, la situazione in cui si trovano i privati accreditati del Veneto che, avendo finito il budget assegnato loro dalla Regione (108,5 milioni di euro per 230 tra poliambulatori, laboratori analisi, centri di fisioterapia, riabilitazione e ossigenoterapia iperbarica) devono contingentare giorno per giorno le prestazioni in convenzione. E una volta esaurito il tetto offrono due opzioni ai pazienti: o pagare gli esami integralmente invece di versare il ticket, oppure accettare di vedersi rimandare l’appuntamento. «E chi ci rimette sono i più poveri — denuncia Giuseppe Cicciù, presidente regionale del Tribunale del Malato — non avendo la possibilità di farsi anche 50 o 60 chilometri per trovare un presidio che eroghi loro la prestazione negata da quello più vicino a casa, o pagano o rinunciano a curarsi».
Un’indagine Censis-Rbm rivela infatti che 749.437 veneti, il 15% della popolazione, rinuncia a curarsi. Oltre il 50% per motivi economici, ovvero: la somma tra il ticket di base (36,15 euro) e quello sulla specialistica (10 euro, ridotto a 5 per i redditi inferiori a 29mila euro), ma anche il problema evidenziato. «Problema che si ripete ogni anno — spiega Cicciù — ed è dovuto al fatto che la Regione dedichi al budget dei convenzionati solo il 12% del fondo sanitario, che ammonta a quasi 9 miliardi di euro. Altre Regioni arrivano al 30% o anche al 40%, ma non per favorire il privato (come denuncia l’opposizione a Palazzo Ferro Fini, ndr ), bensì per agevolare i cittadini. Le strutture accreditate coprono infatti zone, soprattutto periferiche, dove il pubblico non arriva. Una funzione strategica anche per un’altra ragione: i maggiori fruitori degli accertamenti diagnostici sono gli over 65enni, che nel Veneto toccano quota 1.122.005 su un totale di 4,9 milioni di residenti, e non sempre sono in grado di muoversi». E così nascono i pellegrinaggi verso il poliambulatorio più vicino: il Tribunale del Malato da quest’estate sta ricevendo decine di lamentele da parte dell’utenza.
«Ci sono privati accreditati che hanno finito il budget ad agosto e da allora fanno pagare le prestazioni per intero — conclude il presidente regionale dell’associazione —. Noi lo abbiamo detto ai direttori generali, invano».
I privati accreditati garantiscono circa 15 milioni di prestazioni specialistiche ambulatoriali su un totale di 70 milioni. La Regione ha avviato un monitoraggio su tale attività. «Il controllo delle prestazioni e relativi erogatori ci fornirà l’esatto quadro della situazione — conferma l’assessore a Sanità e Sociale, Manuela Lanzarin —. Quando disporremo di tutti i dati e potremo appurare se i parametri imposti siano stati rispettati, valuteremo il da farsi. Nel frattempo, una ventina di giorni fa, abbiamo approvato una delibera che assegna un extra budget per la diagnostica e la specialistica alle strutture accreditate e in difficoltà segnalate dalle Usl, per evitare l’allungamento delle liste d’attesa. Il cui smaltimento è già ostacolato dalla carenza di medici».
Il contributo non riguarda i laboratori, cui sono affidati gli esami del sangue, ma va ricordato che esiste per le Regioni un limite di legge molto rigido: devono assegnare ai privati accreditati un budget non superiore a quello erogato nel 2011, meno un 2%. «Proprio questo tetto di spesa è al centro di un dibattito tra Regioni e governo, nell’ambito della stesura del nuovo Patto per la Salute — rivela l’assessore Lanzarin —. Ne stiamo discutendo, per vedere di trovare una soluzione adeguata e condivisa».
Molte speranze sono riposte nei due miliardi in più al Fondo sanitario nazionale 2020 (rispetto ai 111,2 miliardi del 2019) annunciati dal ministro della Salute, Roberto Speranza. Che però vorrebbe usarne buona parte per eliminare il superticket di 10 euro sulla specialistica, che ad ogni ricetta si aggiunge al ticket di base di 36,15 euro.