Il nome è quello della zona da cui proviene il suo «vettore», il Nilo occidentale. E da ieri ha cominciato a seminare morte anche in Veneto. Si è inoculato in un anziano di 86 anni di Gazzo Veronese, punto pochi giorni fa da una comune zanzara del genere Culex assolutamente «nostrana», il virus West Nile.
Il primo decesso in Veneto – secondo in Italia, dopo un caso a Ferrara – è avvenuto all’ospedale di Legnago. L’area della provincia scaligera, la «Bassa», che confina con quel Polesine dove è stato isolato uno dei focolai d’infezione con 11 casi accertati e dove, all’ospedale di Rovigo, restano critiche le condizioni di un altro contagiato.
L’anziano veronese era stato ricoverato nei giorni scorsi ed è deceduto martedì. Nonostante l’età avanzata, non soffriva di patologie particolari. «È morto di quello, di West Nile», spiegavano ieri i medici. Perché quel virus sa essere assolutamente «mutante»: innocuo, tanto da essere asintomatico per alcuni, fino ad essere fatale in particolare per gli anziani. «Infezione da arbovirus» è la diagnosi. E l’ultimo bollettino sulla sorveglianza delle arbovirosi realizzato giusto martedì dai tecnici della Regione parla di 19 casi in tutto il Veneto.
Cifra che però si è aggiornata anche ieri, con due nuovi casi nel Trevigiano. Un’anziana residente nel Moglianese e un 36enne che abita nel Sandonatese e che è stato dimesso poche ore dopo il ricovero. Si sposta la zanzara che inocula il virus. E con lei porta l’infezione. «La direzione regionale di prevenzione – ha fatto sapere l’assessore veneto alla Sanità Luca Coletto – ha elevato l’attenzione ai massimi livelli e il piano regionale vettori 2018 è attuato in ogni sua parte». Procedono i monitoraggi, come procedono le disinfestazioni. Ma estirpare le zanzare è utopia. «Ogni pronto soccorso e ogni ospedale del Veneto – ha aggiunto Coletto – tengono la guardia alta e sono in grado di diagnosticare e curare velocemente i casi che dovessero presentarsi». Non si trasmette tra esseri umani, l’infezione da West Nile ed è «fluttuante», come spiega il professor Zeno Bisoffi, direttore dell’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) per le malattie infettive e tropicali dell’ospedale di Negrar, nel Veronese: «È legata a fattori imprevedibili, come la circolazione delle zanzare o quella degli uccelli migratori. È un’annata con più casi, ma non c’è alcun allarme. Alla fine saranno di gran lunga inferiori a quelli, ad esempio, dell’influenza per la quale ci si può vaccinare. È il suo “esotismo” che crea paura, la sua origine tropicale. Per curarla non esiste ancora una terapia antivirale specifica, meno che meno un vaccino. Ma può essere seguita con terapie di supporto in qualsiasi struttura medica, anche se non specificatamente dedicata alle malattie tropicali».
Il centro nazionale del Sangue già da giugno, di concerto con le Regioni, ha attivato un piano per la sorveglianza e la prevenzione della trasmissione del virus attraverso le trasfusioni. Nell’area in cui il virus viene isolato scatta una segnalazione che porta all’obbligo di un test su tutte le donazioni.
Rimane la prevenzione, l’arma più efficace contro la febbre del Nilo. «Alla gente – ha spiegato Coletto – chiediamo non paura ma attenzione e collaborazione, perché anche semplici comportamenti sono importantissimi».
Il «vademecum» è quello valido per tutte le zanzare: usare i repellenti, evitare i ristagni d’acqua, anche quelli dei vasi, all’aperto, all’imbrunire indossare indumenti di colore chiaro che coprano la maggior parte del corpo possibile, usare spray a base di piretro o diffusori di insetticida.
Ma, soprattutto, usare le zanzariere, sia alle porte che alle finestre o sul letto.
«Sono addolorato per la morte dell’anziano veronese – ha concluso Coletto – ma va ricordato, per non accendere timori ingiustificati, che gli esperti indicano che un evento così grave si verifica nello 0,1 per cento dei casi di infezione».
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