Ma torniamo alla lettera. Nei giorni successivi molti lettori sono intervenuti sulla questione, sia apprezzando il gesto per il bene della sanità, sia criticandolo in varie forme e aspetti. E’ emerso un particolare che forse è la chiave di volta della intera faccenda e cioè che l’offerta di restare due anni gratis sottende comunque la condizione di rimanere direttori delle strutture complesse di rispettiva appartenenza perché gli interessati specificano “rimanendo operativi al nostro posto per altri due anni”. Lungi dall’entrare nel merito molto delicato della buona fede della proposta, delle aspettative dei medici più giovani o degli aspetti correlati alla libera professione intramuraria, quello che mi interessa qui approfondire sono i vincoli e la praticabilità giuridica della proposta. Infatti lo stesso Francesco Merlo – il giornalista cui era stata inviata la lettera – nella sua risposta sosteneva che “esistono certamente strumenti amministrativi che consentono di dare veste giuridica alla vostra bella e generosa offerta, senza modificare le leggi dello Stato“.
Come detto, credo sia questo il punto nodale perché è molto arduo pensare ad uno scenario organizzativo in cui il dirigente apicale di una unità operativa con tutte le responsabilità non solo professionali ma, soprattutto, gestionali e direzionali non sia un dipendente regolarmente retribuito. Come verrebbero negoziati gli obiettivi prestazionali e con quali incentivi ? Come potrebbero essere titolari dell’azione disciplinare nei confronti dei medici a loro assegnati ? Come potrebbero essere responsabili ai fini civili, penali ed erariali di tutto quello che accade in reparto ? Come potrebbe l’azienda garantire la copertura INAIL senza una retribuzione sulla quale parametrare il contributo dovuto ?
In termini generali si porrebbe un problema di natura civilistica perché il rapporto di lavoro è un contratto obbligatorio di natura corrispettiva nel quale il rapporto sinallagmatico è dato da una prestazione (lo svolgimento di attività lavorativa) e da una controprestazione (la retribuzione). La causa del contratto di lavoro subordinato individua la funzione economica e sociale del contratto, quindi l’interesse meritevole di tutela e perseguito dalle parti. Anche se la causa non è espressamente prevista dalla legge, si può dedurre dall’art. 2094 c.c. e consiste nel vincolo di corrispettività – sopra ricordato – tra la prestazione lavorativa e la retribuzione. La causa di un contratto non può essere contraria alle norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume ai sensi dell’art. 1343, sempre del codice civile. Un rapporto di lavoro subordinato prestato gratuitamente avrebbe una causa illecita e costituirebbe una fattispecie di prestazione lavorativa del tutto diversa da inquadrare in altri contesti. Si potrebbe addirittura ritrovare un profilo di illegittimità costituzionale perché l’art. 36 della Carta afferma in modo chiaro e inequivocabile che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro“ e nella dizione “lavoratore” rientra a pieno titolo anche il dirigente sanitario direttore di struttura complessa. In tal senso la retribuzione costituisce un diritto indisponibile sancito da norme inderogabili – alla stregua delle ferie, dei riposi, del versamento dei contributi – che non può essere oggetto di rinunce o transazioni ai sensi dell’art. 2113 del cc. Poiché le norme imperative in tal caso sono di rango costituzionale, a mio parere neanche la legge potrebbe derogarvi.
Come potrebbe essere risolta la problematica ? L’unico punto, secondo me, insormontabile è quello della direzione della unità operativa mentre soluzioni alternative esistono senz’altro. Anche senza provvedimenti legislativi specifici, il vigente ordinamento già prevede la possibilità che un medico rimanga in servizio ovvero, per dirla meglio, che un medico andato regolarmente in pensione possa avere rapporti di collaborazione a titolo gratuito o, a talune condizioni, oneroso con una azienda sanitaria senza decurtazione alcuna della pensione. Si tratta della norma generale di cui all’art. 5, comma 9, della legge 135/2012 e il ministro della Funzione pubblica, con la Circolare n. 6/2014, ha chiarito gli aspetti del divieto di incarichi ai pensionati precisando nel paragrafo 5 che tra gli incarichi consentiti “non è escluso neanche il conferimento a soggetti in quiescenza di incarichi professionali, quali quelli inerenti ad attività legale o sanitaria, non aventi carattere di studio o consulenza”: e, in questo caso, si tratta di incarichi retribuiti ferma restando, in ogni caso, la possibilità di attribuire incarichi gratuiti.
I richiedenti sono tutti appartenenti a specialità chirurgiche (3 di chirurgia vascolare, 2 di cardiochirurgia e 1 di urologia) e il loro apporto si potrebbe sicuramente concretizzare mettendo la loro grande esperienza e professionalità a disposizione per la riduzione delle liste di attesa per gli interventi chirurgici di elezione ed essendo questa una attività agevolmente quantificabile e individuabile non sembra che la mancata direzione della struttura possa costituire un ostacolo per la realizzazione del progetto. Certo, non avrebbero la responsabilità della pianificazione dei ricoveri programmati e dell’assegnazione delle priorità ai pazienti in lista di attesa, attività che dovrebbero essere di competenza di qualcun’altro. Questo percorso non comporta alcun intervento legislativo né interpretativo tramite circolari e consente di non disperdere un enorme bagaglio di professionalità.
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