L’evento promosso dai sindacati della dirigenza ha visto la partecipazione di Castellone (M5S), Zampa (Pd), Coletto (Lega), Gemmato (FdI), Parente (IV), Turi (SI). I nodi sono tanti, le parole dei politici non bastano a dare garanzia sul futuro del Ssn. Il segretario Anaao, Di Silverio, che ha introdotto l’incontro ha invece le idee chiare: “Noi sindacati andremo avanti, per un obiettivo comune, che è il bene della gente. Se necessario attueremo forme di proteste estreme e alzeremo la voce finché non avremo la certezza che chiunque governi riesca a garantire il diritto alla salute”
La sanità non è un argomento semplice e parlarne davanti a un’assemblea di medici e dirigenti medici, sanitari e veterinari del Ssn lo rende ancora più difficile. Le criticità sono tante, chi lavora nella sanità le vive sulla propria pelle e ora la pazienza è al limite. Dopo anni di tagli e un drammatico biennio di pandemia, i professionisti della sanità chiedono soluzioni. Le chiedono alla politica. A pochi giorni dalle elezioni politiche del 25 settembre, tuttavia, le risposte dei partiti non sono chiare e sembrano non convincere i severi auditori.
Questi, in sintesi, gli esiti dell’evento promosso oggi pomeriggio dai sindacati Anaao Assomed; Federazione Cimo-Fesmed (Anpo-Ascoti-Cimo- Fesmed); Aaroi-Emac; Fassid (Aipac-Aupi- Simet-Sinafo-Snr); Fp Cgil Medici e Dirigenti Ssn; Fvm Federazione Veterinari e Medici; Uil Fpl Coordinamento Nazionale delle Aree Contrattuali Medica, Veterinaria Sanitaria e Cisl Medici, che hanno incontrato a Roma Maria Domenica Castellone (M5S), Luca Coletto (Lega), Marcello Gemmato (Fratelli d’Italia), Annamaria Parente (Italia Viva), Edoardo Turi (Sinistra Italiana) e Sandra Zampa (Partito Democratico), per interrogarli sui programmi per la sanità in vista del voto del 25 settembre.
Dopo due anni di Covid, il segretario nazionale dell’Anaao confidava di trovare nei programmi “proposte fattive e strutturali, invece ne sono arrivate di tardive e poco concrete”. Gli interventi dei rappresentanti politici nel corso del pomeriggio non hanno aiutato a sciogliere i dubbi. Dopo averli ascoltati, Di Silverio ha infatti sostenuto che “c’è tanto lavoro da fare”. Un lavoro “preliminare ai contenuti e alle soluzioni, perché è un lavoro di comprensione dei problemi”, che per i sindacati non tutti i politici hanno dimostrato conoscere in modo appropriato.
Venendo alle parole dei politici, Sandra Zampa, responsabile sanità del Partito Democratico, ha espresso l’impegno del partito a “a fare salire le risorse nel Fsn almeno al 7% del Pil in 5 anni. Non arriveremo ai livelli di Francia e Germania, però è un impegno importante che porterebbe molte risorse in più al Ssn”.
Zampa ha anche evidenziato la necessità di “un piano di investimento sul personale, sia in termini di retribuzioni che di formazione”. E sull’autonomia differenziata ha detto: “L’unico partito che ha scritto nero su bianco che la sanità va stralciata dall’autonomia differenziata è il Pd. Anzi, se mai dobbiamo andare in direzione esattamente contraria”.
Luca Coletto, responsabile Sanità della Lega, ha voluto intanto chiarire che “il sistema sanitario universale è assolutamente da salvaguardare e sostenere, un modello di civiltà che pochi altri Paesi hanno”. Quanto al programma delle Lega per raggiungere questo scopo, ha citato “la revisione contratti collettivi per adeguare gli stipendi dei medici, adeguarli anche alle difficoltà che stanno affrontando nell’attesa che la fine dell’imbuto formativo riesca a colmare i grandissimi vuoti che ci sono, ad esempio tra i medici di medicina generale e nei Pronto soccorso”. A questo scopo, ha spiegato, “abbiamo proposto l’eliminazione del test di accesso a Medicina da sostituire con una revisione dopo il biennio che consenta a chi ha i requisiti di andare avanti. Un sistema da condividere con Farmacia e altre facoltà a indirizzo sanitario”, dove potrebbero accedere gli studenti che non continueranno Medicina con il riconoscimento degli esami.
Coletto ha infine sottolineato la necessità che la programmazione del personale sia affidata totalmente alle Regioni. “Le Regioni non vogliono essere un front-office, ma occuparsi delle cose”. Il responsabile sanità della Lega ha poi parlato di “una dotazione minima standard del personale, necessaria per garantire il benessere delle persone e dei professionisti e soprattutto in grado di consentire alle Regioni, in particolare quelle in piano di rientro, di garantire i Lea, altrimenti non usciranno mai da questi Piani di rientro”. Dunque, “no alla a programmazione calata dall’alto” e “un freno ai fondi integrativi”, ha detto Coletto che in merito all’aziendalizzazione ha chiosato: “Dove è stata gestita bene, non è stata un fallimento”.
Per Edoardo Turi, medico ma all’incontro in veste di rappresentante di Sinistra Italiana, la prima cosa da eliminare è “l’ambiguità semantica che vede come sinonimi la parola ‘sistema’ e ‘servizio’, in quanto non sono sinonimi: la parola ‘sevizio’ ha una valenza etico sociale che la parola ‘sistema’ non ha. Per questo la legge 833 del 78 parla di Servizio sanitario nazionale”.
Per Turi un altro correttivo da apportare subito riguarda il peso della componente privata, “a cui va il il 50% del Fondo sanitario nazionale, con punte del 90-95% in alcuni settori come la riabilitazioni, la lungodegenza, gli hospice e le rsa”. “L’accreditato e l’esternalizzato” sono, per l’esponente di Sinistra Italiana, “la vera piaga, perché rappresentano la deviazione delle risorse pubbliche sul privato”. Quanto alle soluzioni per aumentare le risorse del Fsn, Turi ne ha citata una: “Riducendo le spese militari”.
Sull’aziendalizzazione, “da qualche parte può essere andata bene o male, ma certo è che non c’è democrazia. La figura monocratica e autoritaria del Direttore generale va superata e vanno pensate forme di governo democratico della sanità che prevedano anche il coinvolgimento dei lavoratori, della collettività, dei Comuni e dei Municipi”.
Quanto al test di accesso a Medicina, infine, l’esponente di Sinistra Italia ha commentato: “E’ vero che è un numero programmato, ma è programmato male, perché ci si basa solo sui pensionamenti e non sui fabbisogni. Credo che il numero chiuso sia però uno sbarramento anche di gradiente sociale molto forte: siamo tornati al punto in cui le classi sociali deboli sono tagliate fuori dalla università”. Turi si è detto quindi a favore di un sistema sul modello francese già citato da Coletto ma ha sottolineato anche l’importanza di “riportare la formazione del medico di famiglia all’interno dell’Università”.
È stata quindi la volta di Marcello Gemmato (FdI), che ha esordito spiegando che “Fratelli d’Italia è a favore della sanità pubblica, tutto quello che si legge di diverso da questo è una fake news. Su un giornale ho letto anche che siamo contro la convenzione dei medici di medicina generale, anche questa è una fake news. Non abbiamo approfondito questo tema, abbiamo un approccio laico”.
Per il responsabile sanità di FdI, poi, “serve una maggiore dotazione del Fondo sanitario. Sicuramente il Pnrr e i 15,6 miliardi non sono stati indirizzati a rendere la sanità territoriale efficiente perché si è pensato solo alle infrastrutture ma non si investe sui professionisti e sulle professionalità e questo porterà a un corto circuito”.
Parlando del programma del suo partito, Gemmato ha detto che si punterà al “superamento del tetto di spesa del personale del 2004 meno l’1,4%”. Test di medicina? “Vogliamo l’abolizione del numero chiuso per poi parametrare l’ingresso sul secondo anno in base agli esami sostenuti”. Per Gemmato, poi, il Fsn va “aumentato” e vanno ripensati i criteri per il riparto che “devono tenere conto del coefficiente di deprivazione”.
Per Annamaria Parente (Italia Viva) “per sistemare la sanità pubblica dobbiamo ripartire dal personale, dai medici, e riformare il sistema”. Sull’abolizione del numero chiuso a Medicina, ha spiegato che Italia Viva è “contraria” alla rimozione dello sbarramento: “Capisco i problemi di chi non riesce ad entrare, ma aprire così è solo demagogia. Serve programmazione”.
Sulla questione dell’aziendalizzazione della sanità pubblica, “andava bene per un certo periodo storico, ma oggi abbiamo bisogno di mettere al centro del sistema il medico e il veterinario”. La senatrice ha suggerito che oggi, quando si parla di sanità pubblica, “non possiamo parlare di standard ed efficientamenti, ma della salute delle persone, altrimenti vuol dire che dalla pandemia non abbiamo imparato niente. Noi nel nostro programma parliamo di cura della persona ed empatia medico-paziente”.
Sì della responsabile Sanità di Italia Viva anche ai contatti di formazione-lavoro per gli specializzandi: “Lo abbiamo fatto, ora va reso strutturale”. Mentre arriva un secco “no” alla autonomia differenziata: “Dobbiamo rimettere mano alla Costituzione per riportare sanità al centro: sanità e istruzione sono patrimonio dello Stato”. Infine dalla responsabile Sanità di Italia Viva un impegno personale “per la defiscalizzazione delle ore che i medici lavorano in più per accorciare liste d’attesa. Avevamo pensato a 18 mln a questo scopo nel Decreto Aiuti appena approvato, ma non siamo siamo riusciti a trovarli. Cercheremo ora di partire da questo”.
A chiudere gli interventi dei politici Maria Domenica Castellone del Movimento 5 Stelle. “Parlare ancora, dopo una pandemia, di autonomia differenziata è davvero anacronistico. Da come si investe in sanità dipende la vita o morte dei cittadini”, ha detto affrontando uno dei temi posti all’attenzione. Sulla questione abolizione o meno del numero chiuso a Medicina, ha chiarito che “siamo per un graduale superamento del numero chiuso con un modello di biennio comune e poi accesso a Medicina più meritocratico”.
Castellone ha poi osservato come “in Italia non mancano i medici ma gli specialisti, soprattutto in determinate aree. Questo perché non esisteva un sistema di programmazione, che ora abbiamo creato”, ha evidenziato auspicando che su questo fronte le risposte si possano trovare al più presto ma sottolineando come permanga la necessità di valorizzare il lavoro, soprattutto di chi lavora nell’emergenza urgenza.
“Il primo dei pilastri del nostro programma – ha detto sintetizzandolo in punti – è il personale, il secondo è un nuovo rapporto tra Stato e Regioni, perché bisogna rivedere il Titolo V dando un ruolo di indirizzo più definito allo Stato centrale”. Poi rivedere il rapporto tra pubblico e privato, “correggendo la stortura che in questi anni ha visto il privato sostitutivo e non integrativo del sistema pubblico”. Ultimo pilastro “la prevenzione, non solo secondaria ma anche primaria”.
La parola è quindi passata ai commenti dei rappresentanti dei sindacati. “La politica dica se crede o non crede nella sanità pubblica. Capisco che ci sia un problema economico, ma il Covid ha dimostrato chiaramente che se non funziona la sanità non funziona neanche l’economia”, ha detto Guido Quici, presidente Cimo-Fesmed, che sull’aziendalizzzazione ha detto: “Vogliamo difendere ancora la dittatura sanitaria e il clima di terrore nelle aziende che fa scappare i colleghi?”
Per Alessandro Vergallo (Aaroi Emac), “il problema non è tanto nell’aziendalizzazione in senso lato, ma nel fatto che la nostra è una aziendalizzazione pessima, perché in una virtuosa i direttori generali che falliscono vanno a casa, mentre noi li facciamo girare da un ospedale all’altro”. In merito agli interventi politici, la sensazione di Vergallo è che “alcuni non conoscano esattamente i problemi della sanità nella loro interezza e specificità. Se cercate il confronto, dovete capire che questo significa imparare a conoscere i problemi a cui poi sarà vostro compito trovare soluzioni condivise”. Vergallo ha esortato lo stop alle esternalizzzioni: “Con le cooperative stiamo foraggiando il caporalato”, ha detto.
Fabio Pinto, di Fassid, ha esortato la politica a mettere il cittadino “al centro della scena”. “Le soluzioni estemporanee non servono a nulla”, ha aggiunto: “Serve una politica che voli in alto, che dia risorse aggiuntive, e restituisca attrattività al sistema sanitario e al nostro lavoro”.
È stata quindi la volta di Andrea Filippi della Cgil, che concorda sul fatto che “dobbiamo difendere la salute dei cittadini” e per questo “dobbiamo provare a dire tutti insieme che abbiamo sbagliato e che forse stiamo continuando a sbagliare, perché vedo ancora interventi che non vanno mai in direzione di una visione di sistema ma che sono sempre parcellizzati”.
Per Filippi “oggi stiamo vedendo morire il sistema così come l’abbiamo conosciuto descritto nella legge 833. La privatizzazione è stata tracciata, le politiche economiche neoliberiste hanno fallito, lo dobbiamo dire. Il Ssn è stato deliberatamente distrutto per lasciare campo libero al privato. Nei programmi noi vorremmo vedere l’intenzione di invertire questa tendenza”, ha concluso.
Aldo Grasselli (Fvm) ha fatto notare come “non abbiamo potuto inviare a questo incontro il più grande partito, che è quello di chi non va a votare. Sono certo ne fanno parte molte delle persone che hanno difficoltà di accedere alle cure”. Per Grasselli “c’è bisogno di discontinuità rispetto al passato”, anche “tenendo conto della difficile situazione economica dovuta anche alla guerra e alla crisi energica”. Quanto all’abolizione del numero chiuso in Medicina, per Grasselli chi lo propone “non sa di cosa parla, perché sarebbe impossibile garantire la qualità della formazione. Significherebbe fare perdere anni di studio a qualcuno facendo studiare male anche chi aveva le caratteristiche giuste per studiare bene”.
Roberto Bonfili della Uil ha concordato sulla necessità di “stabilire standard minimi delle dotazioni organiche per il pubblico e privato convenzionato”. “Io non sono contrario neanche ai medici senza speciallizzazione in ospedale – ha detto -, ma servono corsi di formazione a questo scopo”.
A chiudere la giornata di lavoro Benedetto Magliozzi della Cisl, che si è unito ai colleghi nel chiedere una inversione di tendenza e la valorizzazione del lavoro del medico e nella sanità, “che è diventato povero non solo in senso economico, ma anche di gratificazione. La politica deve capire che il lavoro povero diventa precariato, il precariato diventa caporalato…e così facendo le cose non possono che andare peggio”. Quanto all’autonomia differenziata, “continuiamo a parlare di modifiche ma ogni volta che abbiano fatto modifiche sulla Costituzione abbiamo fatto danni incredibili. Intanto, però, non siamo stati capaci di creare vera una classe dirigente”.