LE INDICAZIONI Le prime simulazioni sull’applicazione assoggettano ai nuovi tributi anche edifici esenti dall’Imu
Il tetto al 2,5 per mille imposto per l’anno prossimo all’aliquota sull’abitazione principale del nuovo tributo sui servizi indivisibili (Tasi) attenua ma non cancella il rischio di aumenti fiscali sulla prima casa, soprattutto per gli immobili di valore non molto elevato. La nuova fiscalità locale in realtà è ancora in gestazione, come mostra anche il fatto che del nuovo tetto comparso nelle slide non c’è traccia nei testi della legge circolati fino ad ora, ma qualche considerazione è già possibile.
Prima di tutto occorre orientarsi nella girandola di modifiche vissute dalle imposte sul mattone, a partire proprio dall’abitazione principale. Quest’anno, sembra ormai certo, l’Imu non si pagherà (con l’eccezione delle case considerate “di lusso” dal Fisco), mentre l’anno prossimo la Tasi tornerà a bussare alla porta di casa.
L’aliquota ordinaria, calcolata sullo stesso valore catastale dell’Imu, sarà dell’1 per mille, e potrà scendere o salire in base alle scelte (e alle esigenze) del Comune: in ogni caso, affermano le slide governative, il tetto sarà nel 2014 del 2,5 per mille.
Per capirne gli effetti, occorre considerare che l’Imu scontava 200 euro a tutti, e toglieva altri 50 euro per ogni figlio convivente fino a 26 anni. La Tasi, a quanto si comprende dalle bozze della legge di stabilità, invece non offrirà sconti. Prima conseguenza: anche le case di valore modesto, che grazie alle detrazioni non hanno pagato l’Imu nel 2012, pagherebbero la Tasi ad aliquota standard. Con 75mila euro di valore catastale, per esempio, l’Imu ad aliquota standard era azzerata dalla detrazione base, mentre la Tasi all’1 per mille chiederà 75 euro.
Peggio va naturalmente se il Comune decide (oppure è costretto dai bilanci che zoppicano) di sfruttare la nuova leva fiscale, che consente di portare la Tasi al 2,5 per mille. Si guardi per esempio a una casa che per il Fisco vale 100mila euro: l’Imu standard chiedeva nel 2012 200 euro (che potevano scendere ulteriormente di 50 euro per ogni figlio convivente), mentre la Tasi può arrivare a 250 euro con l’aliquota del 2,5 per mille. Numeri a parte, insomma, l’abitazione principale rientra negli interessi del Fisco locale, con un ventaglio di possibilità molto ampio che dipendono dalle condizioni del bilancio comunale e dalle scelte della politica.
Gli esempi rappresentati dai grafici in pagina, che si basano sulle ultime versioni del testo e sulle slide illustrative diffuse in serata dal Governo, mostrano che il destino fiscale appare meno incerto per gli altri immobili. Nel loro caso, la Tasi si aggiungerà a Imu e Tares (Tari secondo l’ultimo acronimo introdotto dalla legge di stabilità), con la solita aliquota standard dell’1 per mille e con la possibilità di salire senza però far superare alla somma di Imu più Tasi l’aliquota massima oggi prevista per l’Imu. Che cosa accadrà, allora, ai tanti Comuni che come Milano, Roma, Napoli e altre città già applicano l’aliquota massima per l’Imu? Per rispettare il nuovo tetto, l’Imu dovrebbe scendere di un punto per “fare spazio” all’aliquota ordinaria della nuova Tasi, con il risultato che il conto per il contribuente sarebbe lo stesso e che il sindaco non avrebbe leva fiscale da azionare su questi immobili. Se questa ipotesi verrà confermata, crescerebbe ovviamente il rischio di aumenti sull’abitazione principale nei tanti Comuni che già chiedono il massimo agli altri immobili. Un aumento fiscale fuori dalla prima casa, invece, sarebbe possibile dove l’aliquota ordinaria Imu è ancora lontana dai tetti di legge (per esempio nel quarto caso illustrato dal grafico).
Quella che si profila, quindi, è una robusta dose di autonomia fiscale per i Comuni, secondo un meccanismo che sembra però aver bisogno di aggiustamenti per mettere i sindaci davvero in condizione di esercitarla: e, soprattutto, per mettere l’abitazione principale al riparo dal rischio di dover rimpiangere la “vecchia” Imu.
Il Sole 24 Ore – 17 ottobre 2013