Prima la sospensione, adesso la stroncatura. Il Tar del Lazio ha bocciato, di fatto annullandoli, i prezzi di riferimento per i dispositivi medici costruiti dall’Authority sui contratti pubblici dopo la manovra del luglio scorso.
E così per risparmiare sull’acquisto di siringhe, tac, garze e cerotti, stent coronarici, si deve ricominciare daccapo. Ma non dai (falsi) prezzi standard più bassi elaborati dall’Avcp. Col risultato che a questo punto un pezzo della spending review sanitaria targata Enrico Bondi rischia di andare in fumo. E di mandare a sua volta in fumo risparmi stimati in 1,75 miliardi fino a quest’anno.
Il fatto è che sotto la lente dei giudici amministrativi laziali (terza sezione, depositata il 2 maggio), quella manovra – nata nel 2011 con Berlusconi-Tremonti, poi implementata dal Governo dei professori di Mario Monti – non ha retto alla prova. Perché imperfetta, mal costruita e peggio ancora messa in opera nell’elenco dell’Authority.
Nel mirino è finita così la metodologia nel suo complesso utilizzata per la rilevazione dei prezzi dei prodotti medicali, censurata sotto diversi profili di legittimità. A partire dal limitato numero di rilevazioni effettuato per stabilite il benchmark tra i prodotti. Come dire: il prezzo di riferimento indicato in realtà non è tale, perché l’esiguità del campione utilizzato non può essere rappresentativo dell’intera categoria dei prodotti.
Tanto più – ed è questo un aspetto su cui il Tar insiste – se poi i prezzi di riferimento elaborati vengono determinati «in relazione a categorie generali o astratte di dispositivi medici e in modo sostanzialmente avulso dalle caratteristiche dei contratti». In sostanza, da una parte vengono individuate classi di prodotti eccessivamente ampie. Dall’altra, non sono considerate le caratteristiche delle singole forniture di acquisti da parte delle strutture sanitarie pubbliche, anche per quanto riguarda la durata dei contratti o le prestazioni accessorie dei servizi pattuiti. «Un prezzo di riferimento che si impone alla parte privata (che, ove non l’accetti, deve subire il recesso dell’amministrazione) – scrivono i giudici del Tar – presuppone anzitutto che esso sia riferibile a dispositivi effettivamente confrontabili per caratteristiche qualitative e funzionali con quelli oggetto dei singoli contratti». Dunque: prodotti realmente uguali, anche sotto il profilo della quantità dei prodotti acquistati, e degli eventuali servizi e accessori aggiuntivi. Tutte caratteristiche che invece sono mancate nei prezzi di riferimento dell’Authority.
Ora tocca al Governo fare la prossima mossa. Probabilmente appellandosi al Consiglio di Stato, ma con un provvedimento nel frattempo congelato. «Col nostro ricorso – spiega Luciano Frattini, presidente e ad di Medtronic Italia, che nella causa è stata affiancata da Assobiomedica – abbiamo voluto evidenziare una pericolosa stortura che avrebbe portato ad acquistare tecnologie medicali al prezzo più basso, senza tener conto di qualità e innovazione tecnologica. Ben venga un sistema di acquisti trasparente che porti a risparmiare, ma qualità e sicurezza per il paziente devono essere sempre garantite».
di Roberto Turno (da Il Sole-24 Ore)- 8 maggio 2013