Claudio Testuzza, Il Sole 24 Ore sanità- Palazzo Chigi , con i suoi ministri del Lavoro e della Salute, è impegnato, in questi giorni, a cercare soluzioni per correggere la manovra finanziaria, con particolare attenzione al taglio delle pensioni dei medici, riconosciuto come un errore di sottovalutazione. Il gesto di pentimento si è manifestato chiaramente, come spesso accade, nel tentativo di dimostrare responsabilità nei confronti dell’Europa e dei mercati, e si è finiti, però, per restringere eccessivamente le misure che coinvolgono il personale medico e i dipendenti degli enti locali e della sanità
In prima istanza appare necessario trovare le risorse economiche per coprire il buco di bilancio. Non è un segreto che i tagli siano stati introdotti dal Governo con l’obiettivo di raccogliere fondi da destinare ad altri settori della stessa questione previdenziale rappresentato dal così detto taglio del cuneo fiscale che è, invece, solamente una riduzione della contribuzione previdenziale. Un altro esempio è il rinnovo di Quota 103, che è stato in bilico fino all’ultimo momento ed è stato modificato peggiorando i trattamenti ed allungando i tempi d’ attesa.
Raschiato il fondo con gli ulteriori e forse peggiorativi interventi sulla rivalutazione delle pensioni, ferme al palo nonostante gli alti livelli di inflazione, al Governo, che si era posto il “sacro” obiettivo di non apportare modifiche al testo originario della manovra, non restano che poche scelte.
In questa fase, il Governo sembra prevedere due opzioni. La prima consistente in un completo stralcio della norma incriminata, molto poco praticabile se non si trovano altri fondi sostitutivi. La seconda opzione è, invece, una revisione della misura per attenuarne l’impatto. Attualmente, si sta discutendo della possibilità di penalizzare solo coloro che accedono alla pensione anticipata, senza colpire chi lascia il lavoro con la pensione di vecchiaia. I termini conosciuti fanno subito intendere una evidente incostituzionalità oltre all’ennesimo sfregio ai diritti acquisiti.
Le domande che i medici si pongono in questa fase sono se si possono, in qualche modo, evitare i tagli, con una evidente risposta negativa a meno che non si riesca ad acquisire una pensione con decorrenza 1° dicembre 2023. Ma dato che il medico dipendente deve dare per le dimissioni un preavviso di almeno 6 mesi, sembra una strada molto difficile da percorrere. Altra domanda e se si possa fare qualcosa d’altro per evitare il ridimensionamento della pensione futura. E qui si innesta, oltre alla rincorsa, anche questa tutta da calcolare per la convenienza economica, di maturare oltre 15 anni di contributi (leggi riscatti) ante 1° gennaio 1996, di capire cosa succederà in futuro.
Presi dal furore, che dura da ben 12 anni, contro la legge Fornero, alcuni esponenti politici, oggi ancora in auge, non hanno fatto nulla per prevedere un futuro previdenziale sicuro oltre ad inventarsi quote per uscite anticipate ai fini di favorirsi consenso.
E, allora, quale fiducia si può avere se a fronte di tentativi maldestri di favoritismi, di tagli, di errori e di varie incostituzionalità, si continua a vedere il sistema pensionistico solamente fonte di risparmi ed interventi di cui si rincorrono variazioni e modifiche peggiorative in corso d’opera?
Per i più giovani, a fronte di pensioni future da fame, si propone l’eliminazione dell’importo minimo che li avrebbe, forse, preservati dalla miseria. Per alcuni, a più basso reddito, si tolgono alcuni punti percentuali dei contributi sperando, come previsto adesso, di sanare la differenza con l’intervento della fiscalità generale. Non si parla più di previdenza complementare che appare sempre più, invece, dover diventare obbligatoria.
Se invece di pensare a vantaggi elettorali di breve orizzonte, sfruttando iniziative lacunose (le quote) e interventi restrittivi (i tagli) , si tornasse a ragionare su lavoro, occupazione, salari, giusta fiscalità per tutti ed evasione fiscale, forse si potrebbe mettere mano a un sistema previdenziale più giusto e soprattutto più certo.