Una misura unica in Stabilità per chiudere strutturalmente l’odissea degli esodati e aprire, con tutte le cautele del caso, una formula di maggiore flessibilità in uscita con penalizzazioni. Il confronto tra i tecnici di Lavoro, Economia e Inps procede lungo questo solco sapendo che il limite massimo entro cui si potranno spostare le variabili è quello del miliardo o poco più che il Governo vuole impegnare sulla voce pensioni. Miliardo cui andrebbe aggiunto il mezzo miliardo di maggior spesa determinata dagli effetti della sentenza 70/2015 della Corte costituzionale che ha sbloccato le perequazioni sugli assegni oltre le tre volte il minimo. La misura allo studio parte dallo schema base delle penalizzazioni il più corrette possibile sotto il profilo attuariale (si dice 4% sulla quota retributiva dell’assegno) con età minima per l’anticipo fissata a 63 anni e qualche mese, ovvero non più di tre anni dall’età di vecchiaia valida dal 2016.
Gli anni di contributi minimi restano 35, soglia che consentirebbe di non esporre i lavoratori al rischio di un uscita (magari indotta da piani di ristrutturazione aziendali) con assegni troppo bassi. Ma c’è anche consapevolezza che con 35 anni minimi la flessibilità nuova sarebbe soprattutto appannaggio degli uomini, vista la difficoltà per le donne di avere carriere continue. E sul punto una soluzione alternativa è ancora allo studio. Il confronto è aperto anche sull’«Opzione donna»: riconoscere alle dipendenti di 58 anni e 35 di contributi, con maturazione del requisito entro l’anno, un ritiro anticipato con penalizzazione del 3% l’anno per massimi tre anni in luogo del ricalcolo contributivo. Misura che potrebbe riguardare circa 30mila donne con un costo basso iniziale che poi cresce negli anni futuri quando le scattano le finestre della decorrenza (fino a 2 miliardi entro il 2020).
Ieri intanto il presidente dell’Inps, Tito Boeri, ha presentato un nuovo Rapporto dell’Istituto sulle pensioni all’estero che fotografa le complesse dinamiche di una parte sempre più importante del mercato del lavoro italiano interessato dai flussi migratori. Tra le tante evidenze statistiche, Boeri ha sottolineato come ci sia un fenomeno significativo di “free riding” sui contributi degli stranieri con una percentuale alta di coloro che adesso avrebbero l’età per la pensione di vecchiaia, che hanno versato contributi senza però percepirla. Si tratta di circa 200.000 stranieri sui 927.448 provenienti da paesi convenzionati che hanno superato i 66 anni e tre mesi (il 21%):?non hanno alcuna prestazione dall’Inps per un totale di versamenti capitalizzati con il criterio contributivo di circa 3 miliardi. «Perché non usare quelle risorse per finanziare politiche di integrazione?» ha proposto Boeri. Sul fronte degli italiani pensionati che si trasferiscono all’estero, invece, è stata segnalata una crescita dei flussi, con il raddoppio tra il 2010 e il 2014 dei beneficiari di una rendita che decidono di vivere oltre confine. Nel 2014 Inps erogava 400mila trattamenti all’estero per una spesa di oltre un miliardo in 154 paesi. In questo caso la proposta è stata valutare di pagare in futuro per l’estero solo le prestazioni contributive e non quelle assistenziali.
Davide Colombo – Il Sole 24 Ore – 30 settembre 2015