Tra il 1997 e il 2016 circa 4,5 milioni di persone hanno smesso di lavorare accedendo alla pensione di anzianità, con una spesa di circa 95 miliardi di euro. Poco meno di quattro milioni, invece, hanno raggiunto la pensione di vecchiaia, incidendo sui costi previdenziali per circa trenta miliardi. Di flessibilità a livello previdenziale in passato ce n’è stata anche troppa, a partire dalle pensioni baby, molte delle quali ancora in pagamento oggi, con effetti non più replicabili in futuro dal punto di vista finanziario.
Da queste considerazioni nasce la scelta fatta dal governo di improntare il sistema previdenziale futuro «su un sistema a doppio binario in cui la flessibilità non è più data dalla pensione obbligatoria, ma da un sistema di redditi ponte che non incidono sul bilancio pubblico, se non per le persone in difficoltà», come ha spiegato Stefano Patriarca, consigliere economico unità di coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio in occasione del suo intervento alla nona edizione di Tuttolavoro che si è svolta ieri presso la sede milanese del Sole 24 Ore.
Ecco quindi l’Ape sociale, quello volontario, quello aziendale e la Rita (rendita integrativa temporanea anticipata). Strumenti che possono essere combinati tra loro, ha sottolineato Patriarca, garantendo una moltiplicità di soluzioni per chi vuole anticipare l’uscita dal mondo del lavoro o ridurre l’orario in prossimità della pensione. L’Ape aziendale, come riportato nell’esempio a fianco, risponde principalmente all’esigenza di ridurre l’impatto dell’Ape volontario sulla pensione futura tramite il versamento di contributi aggiuntivi da parte del datore di lavoro. In questo modo l’importo dell’assegno previdenziale aumenta e compensa in parte o totalmente il peso della rata di restituzione del prestito erogato e che sta alla base dell’Ape volontario, cioè dell’anticipo previdenziale a garanzia pensionistica.
Ma l’Ape volontario può essere abbinato all’Ape sociale, se il beneficiario vuole incassare più dei 1.500 euro lordi mensili che costituiscono il tetto massimo di quest’ultima prestazione interamente a carico dello Stato riservata a determinate categorie di lavoratori in difficoltà. Ma l’Ape volontario può convivere con il lavoro, magari part time, e/o con la Rita, la rendita anticipata alimentata dal montante contributivo accumulato nella previdenza complementare, ma anche con la Naspi in quanto l’anticipo volontario non è un reddito. Ciò significa, ad esempio, che un dipendente può chiudere un rapporto di lavoro tramite licenziamento, accedere alla Naspi con relativa contribuzione figurativa, attivare l’Ape volontario e beneficiare di una contribuzione aggiuntiva da parte del datore di lavoro sotto forma di Ape aziendale.
Il Sole 24 Ore – 27 febbraio 2018