L’una, l’ex Inpdap, confluito nell’Inps dall’inizio del 2012, eroga milioni di pensioni relativamente modeste a ex dipendenti pubblici. L’altra, l’ex Inpdai, cioè il fondo per le pensioni dei dirigenti d’azienda (incorporato nell’Inps pena il fallimento) eroga poche ma ricche pensioni a ex manager. Ma ambedue sono un fardello pesante per i conti dell’istituto nazionale di previdenza. Basti pensare al fatto che la confluenza dell’Inpdap nell’Inps ha portato come dote il primo bilancio in rosso per oltre 9 miliardi dell’Inps. Il cronico buco deficitario dell’ex fondo dei dipendenti pubblici si è così scaricato sulla previdenza di tutti. Per il 2013 il Collegio di indirizzo e vigilanza dell’Inps si attende dalla sola gestione dell’ex ente dei dipendenti pubblici un disavanzo di 7,6 miliardi, che vale quasi l’80% dell’intero disavanzo stimato per tutto l’Inps per il 2013 che è sopra i 9 miliardi.
E così l’incorporazione nei fatti è diventato un salvataggio mascherato dell’Inpdap che rischiava di finire in dissesto. Ora il contagio dei disastrati conti dell’ente pensionistico dei lavoratori pubblici si allarga però all’intero Inps. Del resto con perdite annue che sono state di 10 miliardi nel 2011 e di 9 miliardi nel 2010, l’Inpdap nei fatti aveva finito per vedersi erodere l’intero capitale. Salvezza necessaria, dunque, ma che avrà l’effetto, se il trend di perdite proseguirà con questo passo, di portare a zero anche il patrimonio dell’Inps già nel 2015, come ha avvertito lo stesso presidente Mastrapasqua.
Se poi si va indietro nel tempo si scopre che le perdite dell’Inpdap sono strutturali da anni. Nel 2009 il saldo tra contributi e prestazioni è stato infatti negativo per la bellezza di 14,4 miliardi, mitigato dai 9,1 miliardi di contributi dello Stato come datore di lavoro. Il buco resta comunque alto oltre i 5 miliardi. E dal 2005 al 2008 il saldo cumulativo è stato negativo per 42 miliardi, che si dimezzano tenendo conto dei versamenti contributivi dello Stato ma che lasciano comunque un passivo imponente. Inpdap in perdita da anni Già ma perché l’Inpdap è perennemente in perdita? Come mostrano i dati della Corte dei Conti nell’ultimo decennio il saldo tra entrate e uscite è sempre stato negativo, accelerando negli anni tra l’altro. Solo nel 2011 il buco è stato di 10 miliardi, dato che le entrate si sono fermate a 51 miliardi mentre le spese per pensioni sono salite a ben 61 miliardi. E nel decennio 2002-2011 le spese sono aumentate del 4,6% annuo, mentre le entrate sono salite solo del 2,8 per cento.
Uno squilibrio strutturale come si vede determinato dal fatto che i contributi sono sempre stati più bassi delle pensioni erogate. Il metodo retributivo che premia gli ultimi anni di attività lavorativa, le pensioni d’anzianità, i ritiri anticipati sommati al blocco del turn over e alla contrazione del numero dei dipendenti hanno sortito questo effetto. Troppe pensioni e di importo più elevato rispetto ai contributi effettivamente versati. Il dissesto del fondo ex Inpdai Ma per ironia della sorte non sono solo le pensioni pubbliche (oltre 2,8 milioni di assegni per un importo nel 2013 stimato in 63,7 miliardi) e il loro disavanzo strutturale a minacciare i conti dell’Inps. Anche le ricche pensioni degli ex dirigenti d’azienda (e i minori contributi versati in proporzione) mandano in deficit strutturale l’ex Inpdai. Nel 2013 secondo le previsioni del Civ dell’Inps il disavanzo sarà di 3,7 miliardi. Non poco, di fatto la metà del disavanzo dell’ex Inpdap. Ma il buco di bilancio dell’ente riassorbito nell’Inps pena il fallimento non è episodico. Nell’ultimo decennio il deficit cumulato è stato di almeno 20 miliardi. Come per l’Inpdap, le uscite previdenziali superano strutturalmente le entrate da contributi. Anche qui il danno del sistema retributivo è stato enorme. Pensioni calcolate sugli ultimi 5 anni di carriera lavorativa sono assai generose rispetto ai reali contributi versati dagli ex manager e i loro datori di lavoro. Sui lavoratori privati pesano i deficit degli ex fondi speciali Il fondo lavoratori dipendenti (cioè i privati) mantiene un debole segno positivo per 590 milioni. Ma in realtà sarebbe in forte avanzo per ben 8,5 miliardi se non gravassero su di esso i deficit strutturali degli ex fondi speciali: tra lavoratori elettrici, telefonici, dei trasporti e appunto dirigenti d’azienda il disavanzo complessivo per il 2013 sarà di 8 miliardi. Tanto da portare quasi a zero l’avanzo dei dipendenti privati. Chi paga il conto? Lo pagano i cittadini con la fiscalità generale, dato che lo Stato deve ogni anno elevare la quota di trasferimenti pubblici all’Inps. Sono circa 90 miliardi l’anno che saliranno di altri 20 miliardi fino al 2015, quando (forse) la riforma Fornero dispiegherà in pieno i suoi effetti.
Il Sole 24 Ore – 12 agosto 2013