Gli assegni pensionistici continuano a svolgere il ruolo improprio (e molto fragile) di ammortizzatore contro il disagio sociale. Nel 2014 il rischio di povertà tra le famiglie con almeno un pensionato è risultato attorno al 16,5% contro il 22,5% dei nuclei senza un nonno o una nonna in casa. Il rischio è invece molto elevato tra i pensionati che vivono da soli (23,4%) o insieme con i figli come monogenitori (16,3%).
E ancor più nelle famiglie in cui il reddito del pensionato sostenta altri componenti adulti senza redditi da lavoro (29,7%). Questo compito di tamponamento dall’esclusione sociale garantito dalle pensioni, che dovrebbero assicurare il rischio vecchiaia e non quello di povertà, è piuttosto diffuso. Le famiglie con pensionati sono stimate in 12,4 milioni e per quasi i due terzi di queste (62,3%) i trasferimenti pensionistici rappresentano oltre il 75% del reddito familiare disponibile (per il 26,5% l’unica fonte di reddito).
Sono forse queste le evidenze più significative che escono dai dati pubblicati ieri dall’Istat: un focus sulle condizioni di vita dei pensionati che conferma dinamiche già lette la settimana scorsa nelle statistiche sulla povertà in Italia.
Il focus organizza una serie di nuove informazioni ricavate da tre data base: il Casellario centrale dei pensionati, l’indagine campionaria su reddito e condizioni di vita dei cittadini (Eu-Silc) e la rilevazione sulle forze di lavoro. Il trend più netto è il calo dei pensionati. Nel 2015 erano 16,2 milioni, 80mila in meno rispetto al 2014 e circa 600mila in meno rispetto al 2008. Il loro reddito lordo è stato in media di 17.323 euro (+283 euro sull’anno precedente). Il calo del numero dei pensionati è frutto delle riforme che hanno spostato i requisiti di età e contribuzione. Il minore flusso di ritiri ha controbilanciato l’allungamento della vita: basti dire che nel 2015 gli assegnisti Inps con più di 80 anni erano il 25% del totale (4,1 milioni) contro il 15,8% (2,5 milioni) del 2001. Ma in questo trend non mancano le “fughe” annuali, come gli oltre 95mila neo-pensionati in più registrati nel 2015 sotto la voce “vecchiaia”, frutto della maturazione in blocco di requisiti cambiati nel 2011 o delle tante salvaguardie che ne sono seguite: si è passati dai 256.611 del 2014 ai 351.990 del 2015, con un aumento del 37,2%.
Anche guardando al peso degli ultimi assegni pagati dall’Inps si scopre che gli effetti delle riforme si fanno sentire: i redditi dei nuovi pensionati sono mediamente inferiori a quelli dei cessati (15.197 contro 16.015 euro) e ai redditi dei pensionati sopravviventi (17.411 euro). Più in generale l’integrazione dei dati 2014 del Casellario con quelli Eu-Silc consente di stimare il reddito pensionistico netto dei pensionati residenti, che è di 13.760 euro annui. Le ritenute fiscali incidono in media per il 18,6% (+1% rispetto all’aliquota effettiva 2013).
Si diceva dell’utilizzo delle Rilevazione sulle forze di lavoro. Con questi dati si è potuto leggere il numero di pensionati lavoratori. L’anno scorso erano 442 mila (-14,3% rispetto al 2011), uomini in tre casi su quattro che per la stragrande maggioranza (86,4%) svolgono un lavoro autonomo. Si tratta di lavoratori a bassa scolarità. Il calo dell’occupazione dei pensionati in un contesto di gratuità del cumulo del reddito da lavoro con l’assegno Inps fornisce una controprova delle difficoltà con cui il mercato riesce ad assorbire offerta di lavoro aggiuntiva.
Davide Colombo – Il Sole 24 Ore – 16 dicembre 2016