L’appuntamento è fissato per questa settimana. Il ministro del lavoro Giovannini e gli uomini dell’Inps che lavorano al progetto, incontreranno un gruppo di esperti per «testare» il software che hanno messo a punto. Se tutto andrà per il verso giusto, quella che si preannuncia è una vera piccola rivoluzione. Anche in Italia, dopo anni di stop and go, arriverà la cosiddetta «busta arancione» una lettera inviata ogni anno ai lavoratori per informarli di quale sarà il loro futuro assegno pensionistico. Il progetto in realtà, è più articolato di così. Innanzitutto il sistema avrà due gambe, la lettera cartacea e il simulatore on line sul sito dell’Inps. Quest’ultimo è il tassello principale. La prima informazione che fornirà, la stessa che dovrebbe essere inserita nella busta arancione, è il tasso di sostituzione atteso alla prima data di pensionamento utile.
In pratica quanto si incasserà in percentuale rispetto all’ultimo stipendio. Una simulazione che sarà basata sull’ammontare dei contributi versati, sul livello retributivo atteso, sull’età in cui si lascerà il lavoro. Ma questa sarà solo una informazione di base. Il software che Inps e ministero stanno testando, permetterà di effettuare una serie di simulazioni più «raffinate» sul proprio futuro pensionistico. Basterà inserire nelle schermate che appariranno sul computer della variabili diverse. Per esempio cosa accade all’assegno se si prevede di fare una carriera che porti nel tempo a guadagnare di più. Oppure, ancora, come aumenta la pensione se per esempio si sceglie di lavorare uno, due o tre anni più del dovuto. Le informazioni che saranno generate dalle simulazioni saranno fondamentali soprattutto per i giovani che iniziano i loro percorsi lavorativi.
IL SISTEMA
Diverso, invece, il caso dei lavoratori a cui mancano pochi anni alla pensione. In questo caso l’informazione contenuta nella busta arancione sarà decisamente più precisa. Ma in entrambi i casi non si tratterà di un dato «burocratico», secco, ma di un probabile futuro previdenziale sul quale il lavoratore avrà comunque la possibilità di agire. Nel caso dei giovani, per esempio, decidendo di aderire a forme di previdenza complementare, ma anche rendendo più chiaro il «costo» previdenziale dei lavori in nero o parzialmente in nero (come i cosiddetti fuori busta), che se dà un vantaggio immediato come potere d’acquisto, rischia di essere pagato a caro prezzo nel momento in cui si va in pensione.
Per chi, invece, è vicino alla pensione, il software mostrerebbe anche quale è il vantaggio in termini di assegno previdenziale nel caso in cui si decidesse di prolungare l’attività lavorativa ancora per qualche anno.
I COSTI
Siccome le informazioni che saranno contenute nella busta arancione in qualche modo incidono sulle scelte dei singoli e se comunicate male potrebbero anche spaventare, l’avvio del programma dovrebbe essere preceduto da una campagna di informazione in modo da riuscire a dare una sorta di «educazione finanziaria» a chi fruirà del software o riceverà la comunicazione attraverso la lettera. Non solo. Il ministero e l’Inps starebbero anche cercando un modo per ridurre i costi del progetto. Inviare la busta arancione a tutti e 25 i milioni di lavoratori, comporterebbe un esborso per le casse dello Stato di una quarantina di milioni di euro.
Ma quali sono i tempi per l’avvio del progetto? Una sperimentazione dovrebbe essere avviata già nel primo trimestre di quest’anno. Le procedure, del resto, devono essere testate con una certa attenzione per evitare delle false partenze.
In pensione anticipata con il prestito Inps: assegni a tempo da restituire con tagli e decurtazioni
di Andrea Bassi. La questione era uscita dai radar. Ma presto potrebbe tornare di attualità. Il ministro del lavoro, Enrico Giovannini, sta lavorando ad una «manutenzione» della riforma delle pensioni per introdurre degli elementi di flessibilità sia per i lavoratori che vogliono lasciare in anticipo il lavoro rispetto ai requisiti attuali, ma anche per le imprese che potrebbero avere la necessità di ringiovanire il proprio personale. Lo schema è quello del cosiddetto «prestito pensionistico», un’ipotesi che già era circolata e di cui si era parlato nei mesi scorsi. Funzionerebbe pressapoco così: supponiamo che ad un lavoratore manchino due anni alla pensione. Con le regole attuali non potrebbe fare altro che attendere.
LO SCHEMA
Con il meccanismo al quale sta lavorando Giovannini, invece, potrebbe lasciare anticipatamente il lavoro. Non andrebbe in pensione, ma incasserebbe un assegno pari ad una certa percentuale del suo stipendio (per esempio l’80%) pagato dall’Inps eventualmente con il contributo della stessa azienda. Dal momento in cui, maturati i requisiti per la pensione, si incomincia ad incassare l’assegno previdenziale, quest’ultimo verrebbe decurtato di una cifra (che secondo le ipotesi circolate potrebbe oscillare tra il 10 e il 15%) per poter restituire i soldi ottenuti in prestito nei due anni precedenti. «Il meccanismo al quale stiamo lavorando», spiega a Il Messaggero il ministro Giovannini, «prevede anche il coinvolgimento da parte delle imprese oltre che del lavoratore e dello Stato. È un’operazione anche finanziariamente difficile da disegnare». . Il prestito pensionistico dovrebbe valere soltanto per i lavoratori del settore privato e sarebbe, comunque, un meccanismo volontario.
GLI OSTACOLI
Il principale ostacolo, come sempre accade quando si parla di pensioni, sono i costi per le casse pubbliche di un sistema del genere. Costi che, spiega Giovannini, «possono essere molto alti». Per questo si stanno facendo delle simulazioni insieme al ministero dell’Economia e alla Ragioneria generale dello Stato. Molto dipende dal numero di lavoratori e dal numero di imprese eventualmente interessate ad attivare il il prestito. Se, per esempio, il mondo imprenditoriale non fosse propenso ad utilizzare il sistema, tutti i costi si scaricherebbero sui lavoratori e sull’Inps e dunque il meccanismo potrebbe diventare difficilmente sostenibile. Anche per questo, non appena il lavoro tecnico di Giovannini sarà concluso, il risultato sarà illustrato alle parti sociali, a cominciare dalla Confindustria, per sondare l’interesse delle imprese.
«Già oggi», spiega Giovannini, «c’è un meccanismo che attraverso accordi sindacali permette il pensionamento anticipato con pagamento da parte dell’azienda di una quota consistente del gap pensionistico, è stato utilizzato dalle grandi imprese, mentre non è utilizzabile dalle piccole. Anche queste ultime», aggiunge il ministro, «potrebbero avere l’interesse a dare uno scivolo ai lavoratori, soprattutto in quei comparti dove l’età avanzata può addirittura comportare rischi per il tipo di attività svolta».
L’ALTERNATIVA
Il prestito pensionistico, inoltre, sarebbe alternativo all’altra ipotesi di cui pure si era parlato, ossia la cosiddetta staffetta generazionale. In questo caso i lavoratori più anziani vedrebbero trasformati i loro contratti in part time con una contribuzione figurativa a carico dello Stato in modo da non incidere sulla futura pensione, dando così la possibilità alle imprese comunque di far entrare giovani nel mercato del lavoro. Rispetto alla staffetta, il prestito pensionistico avrebbe anche un altro vantaggio, non secondario, quello di essere una misura in grado di dare una risposta più strutturale anche al problema degli esodati, fino ad oggi affrontato con interventi spot, l’ultimo in finanziaria con la salvaguardia di altri 33 mila lavoratori.
Pensioni, da quest’anno per le donne del privato 18 mesi in più in azienda. Nel 2016 a riposo a 66 anni
La riforma delle pensioni firmata nel 2011 dall’ex ministro Elsa Fornero (risparmi complessivi da 80 miliardi entro il 2021 secondo una proiezione dell’Inps) continua anche nel 2014 lungo la direttrice programmata dal governo Monti nel decreto Salva-Italia. Obiettivo: allungare l’età lavorativa degli italiani e puntare progressivamente alla parificazione dell’età di vecchiaia tra uomini e donne. In particolare saranno queste ultime, nel corso di quest’anno, a pagare il prezzo più scomodo in termini di prosecuzione temporale della propria esperienza occupazionale negli uffici, nelle fabbriche o nei campi. Secondo le norme messe a punto tre anni fa, le lavoratrici dipendenti del settore privato potranno andare in pensione di vecchiaia solo dopo aver compiuto i 63 anni e 9 mesi, vale a dire 18 mesi in più rispetto ai requisiti previsti per il 2013 (62 anni e tre mesi). Così, secondo il meccanismo congegnato nella riforma, fra 4 anni l’età di uscita dal lavoro sarà di 66 anni e tre mesi (ai quali aggiungere l’adeguamento alla speranza di vita) per tutti. Per andare in pensione nel 2014 è richiesta comunque la presenza, se si hanno contributi accreditati prima del 1996, di almeno 20 anni di contributi. Se invece si è cominciato a versare dopo il 1996 è richiesto anche un importo di pensione di almeno 1,5 volte la soglia minima. In base a questo sistema, nel settore privato potranno andare in pensione di vecchiaia le donne con almeno 63 anni e 9 mesi di età. Dal 2016 (fino al 31 dicembre 2017) scatterà poi un ulteriore scalino e saranno necessari 65 anni e tre mesi ai quali aggiungere l’aumento legato alla speranza di vita.
LA STRETTA GRADUALE Potranno quindi andare in pensione ancora quest’anno con 62 anni e 3 mesi le lavoratrici nate prima del 30 settembre 1951 mentre se si è nate a ottobre dello stesso anno l’uscita dal lavoro sarà rimandata almeno fino a luglio del 2015. Quanto alle donne autonome che figurano in gestione separata, nel 2014 potranno andare in pensione con almeno 64 anni e 9 mesi, con un anno in più rispetto a quanto previsto per il 2013. Per il 2016 e il 2017 saranno necessari almeno 65 anni e 9 mesi, requisito al quale andrà aggiunta, ovviamente, la speranza di vita Quanto agli uomini, nel 2014 andranno in pensione con gli stessi requisiti del 2013 (66 anni e tre mesi). I requisiti cambiano nel 2016 con l’adeguamento alla speranza di vita. Nel settore pubblico, quest’anno, restano invariati i requisiti previsti per il 2013. Si va in pensione ancora nel 2014 e fino al 2015 con 66 anni e tre mesi di età. Il requisito andrà adattato alla speranza di vita nel 2016. In tema di pensione anticipata, occorre ricordare che nel 2014 gli uomini potranno andare a riposo in anticipo rispetto all’età di vecchiaia se hanno almeno 42 anni e 6 mesi di contributi versati: un mese in più di quanto previsto nel 2013. Per le donne saranno invece necessari almeno 41 anni e 6 mesi di contributi (un mese in più di quanto previsto nel 2013). Anche i requisiti per la pensione anticipata andranno adeguati dal 2016 all’aumento della speranza di vita. Intanto, a tre anni dal blocco dell’indicizzazione dei salari all’inflazione, il 2014 scongela gli assegni. Non ci sarà tuttavia una rivalutazione piena per tutti: solo le pensioni lorde che non superano tre volte il trattamento minimo di 495,4 euro al mese avranno una adeguamento del 100%. Mentre tra questo importo e quello corrispondente a quattro volte il minimo (1.981,7 al mese) l’incremento si fermerà al 95%. Per poi scendere ancora progressivamente.
Il Messaggero – 6 gennaio 2014