Il C604 è già noto in campo alimentare e valutato da EFSA nel 2014 nel contesto dei materiali a contatto. Se la presenza ambientale del C6O4 di sicuro rappresenta una novità, in campo alimentare tale sostanza è già stata fatto oggetto di specifica valutazione da parte di EFSA, nel contesto della valutazione di rischio dei materiali a base di fluoropolimeri prodotti utilizzando il C6O4, quali il PTFE (Poli-tetrafluoro-etilene), fluoropolimeri che costituiscono la base per la produzione di materiali a contatto con gli alimenti, sia come pellicole che come utensileria e rivestimenti anti-aderenti. La lettura del parere EFSA fornisce utili spunti per inquadrare meglio la problematica C604 specie nel bacino padano, dove confluiscono numerose fonti di pressione e di rilascio dei PFAS industriali e antropiche.
EFSA e il C6O4 nell’ambito dei materiali a contatto con gli alimenti e il perché di non rilevanza alimentare
EFSA nel 2014 ha rilasciato un parere sul rischio di cessione agli alimenti del C6O4 (EFSA C6O4 Opinion) come sale di ammonio, su richiesta del Ministero della Salute e dello Sport olandese, sulla base della documentazione scientifica prodotta dalla Ditta Solvay Solexis SpA, con sede legale e stabilimento in Italia. La ditta peraltro ha già registrato la sostanza in ambito Reach, come risulta dal sito della Agenzie Europea delle Sostanze Chimiche.
La lettura del parere EFSA può aiutare a capire le fonti di rilascio ambientale del C6O4, e a discriminare nel caso un possibile utilizzo diretto della sostanza nella produzione di beni di consumo al di fuori del regime autorizzativo.
Il C6O4 sale di ammonio risulta essere autorizzato con il numero 1045 ed utilizzato esclusivamente quale additivo nella sintesi di fluoropolimeri per materiali a contatto con gli alimenti, con Temperature di sintesi superiori ai 370 °C, dalla legislazione Europea Vigente (regolamento 1416/2016 sulle plastiche e materiali a contatto con gli alimenti).
Infatti il C604 non risulta stabile a temperature superiori ai 138 °C e si degrada completamente sopra i 230 °C in due principali prodotti volatili.
Sotto tali condizioni autorizzative, la sostanza non rappresenta allo stato attuale delle conoscenze, secondo EFSA un problema rilevante per la sicurezza alimentare, in tutte le condizioni di contatto con gli alimenti dei fluoropolimeri sintetizzati con l’aiuto del C6O4, per i seguenti motivi:
Nel caso di pellicole di PTFE dello spessore di 60 micrometri, prese quale caso peggiore, non è stata rilevata alcuna cessione di C604 e dei suoi principali due prodotti di degradazione termica, con un limite di rilevazione pari a 60 ng per grammo di materiale (ppb), che laddove trasposti in termini di cessione al 100% agli alimenti, in base allo spessore e densità del film fluoropolimerico, equivale a 0.4 microgrammi/6 dm² di superficie coperta e ad una migrazione massima eventuale di 0.4 microgrammi/kg di cibo.
Analogamente, per i due prodotti di degradazione, considerando una eventuale presenza appena sotto il limite di rilevazione del metodo ed una cessione del 100%, si giunge ad una eventuale concentrazione massima di 45 microgrammi e 1 microgrammi /kg di cibo, concentrazione che si riduce fino a 100 volte (0.4 microgrammi/kg ) in condizioni di forte stress termico nella prova di cessione.
I test di genotossicità in vivo ed in vitro, sebbene non completamente conclusivi rispetto ad una debole clastogeneicità (risultati negativi in test di mutazione genica su ceppi di Salmonella ed E.coli, e su linee cellulari di linfoma nel topo; debole attività clastogenica in test di aberrazione cromosomiale su cellule di ovaio da hamster cinese ma assenza di effetti nel midollo osseo di ratti esposti alla dose tollerabile più alta di 1250 mg/kg bw), alla luce della volatilizzazione/degradazione termica del C6O4 e dei suoi due composti durante la produzione di fluoro-polimeri, non evidenziano secondo EFSA un problema di sicurezza per esposizioni alimentari.
Data la spiccata polarità e la pressochè totale solubilità in acqua, non si ritiene che il C604 possa dare luogo a fenomeni di biomagnificazione e bioaccumulo (log di ripartizione Ottanolo/Acqua di -0.38 a 22 °C).
I livelli di C6O4 nel Po, come si spiegano?
I fluoropolimeri sintetizzati mediante l’utilizzo del C6O4 non sono limitati al solo impiego nel campo dei materiali a contatto con il cibo non solo come packaging, ma esteso ai nastri, tappi, superfici che vengono a contatto con gli alimenti in sede di lavorazione industriale (es. trafilature, piani di lavorazione, …).
I fluoropolimeri trovano generale utilizzo nell’industria della termoplastica, quali costituenti di guarnizioni e sigillanti resistenti al calore e agli acidi, lubrificanti.
L’aggiunta di specifici componenti indirizza l’utilizzo in particolari settori dove sono richieste alte resistenze a sollecitazioni di tipo chimico, alla pressione, alle temperature, all’usura meccanica (silice, carbonio, bronzo, inox, ecc) per incrementare le prestazioni in ambito meccanico, pneumatico o chimico.
Quanto esperito da EFSA in ambito di sicurezza alimentare, riferito ai fluoropolimeri può avere un risvolto in termini di qualità delle acque superficiali, anche per la presenza di microplastiche e microfibre di origine da materiali a contatto con gli alimenti e non.
Supponendo un rilascio quantitativo da entrambe le superfici solvatate dall’acqua di una pellicola fluoro- polimerica di 6 dm2 pari a 400 ng di C6O4, una sua concentrazione di 200 ng/L nelle acque del Po può in teoria corrispondere alla presenza di una superficie di cessione/contatto pari a 3 dm2 per Litro.
Un problema legato alle microplastiche e alle microfibre e alla loro degradazione? Gli studi modellistici riferiti al Mediterraneo condotti dal Centro Europeo del Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici riportano una potenziale presenza di 70 kg di plastiche per km quadrato nel delta del Po. Lavori recenti, riportano come tali microplastiche/microfibre vengano rilasciate anche negli scarichi dei depuratori civili a più alta innovazione, nella misura del 20% del loro carico all’entrata. Il rimanente 80% è presente nei fanghi di depurazione. Da qui un rilascio ambientale da tutti i cicli ispirati all’economia circolare, dal proposto “recupero” dopo idoneo trattamento dei percolati delle discariche, a quello dei fanghi di depurazione e ammendanti a base di fanghi in agricoltura, e il rilascio dalle stesse acque reflue dei depuratori anche civili, nei corsi di acqua.
Può esistere anche una componente di rilascio ambientale dovuta alle precipitazioni atmosferiche, visto la riportata volatilità del C6O4 in corso di processo di fluoropolimerizzazione negli stabilimenti di sintesi.
Meno probabile, date le caratteristiche fisico-chimiche, un utilizzo del C6O4 diretto nella produzione di beni di largo consumo, casomai di importazione, senza passare per i processi termici alla base della sintesi dei fluoropolimeri, processi che di fatto lo degradano.
E’ possibile che tutti i fattori nel loro complesso possano contribuire in maniera differenziata al “carico” padano, ma l’origine “antropica” e non “industriale” del C6O4 va assolutamente considerata a sottolineare che la problematica PFAS è un chiaro terreno di confronto per una azione di One Health, senza esclusioni, e con i cittadini che con i loro comportamenti, stili di vita e scelte di acquisto, hanno una responsabilità nella presenza dei PFAS nell’ambiente e negli alimenti, quantomeno nei siti non considerati hot spots. In questo, appare opportuno ispirarsi al PFAS Action Plan di US –EPA, laddove viene inserita una differenziazione tra la valutazione e gestione dei PFAS nei cosiddetti hot spots (siti inquinati) e nel territorio restante contaminato ma non inquinato. La contaminazione di PFAS è ubiquitaria, ma in crescita tendenziale nell’ambiente se consideriamo il Fluoro Organico Totale. Il passaggio dal PFOA al C6O4, ovverossia “dalla padella alla padella (sempre antiaderente)”?
NOTE
Il problema delle microplastiche nell’acqua potabile è in via di definizione a livello legislativo, ma ancora non ci sono spefifiche:
Il problema della degradazione della plastica e della sua presenza nell’ambiente anche sotto forma di “micro” e “nanoplastiche” è un aspetto portato all’attenzione dell’opinione pubblica negli ultimi anni a seguito di alcuni articoli comparsi sia in rete che sulla stampa.
Con il termine microplastiche si denotano particelle di materiale plastico (fibre, frammenti, pellet, pellicole, perline) di dimensioni molto piccole. L’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare definisce microplastiche le particelle di dimensioni comprese tra 0,1 e 5.000 micrometri (µm) ovvero 5 millimetri. Al di sotto di queste dimensioni si parla di nanoplastiche.
Allo stato non esistono norme che regolino la possibile contaminazione dei prodotti alimentari da micro e nanoplastiche, ed è rilevante sul tema la recente opinione dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare del 2016. Il rapporto indica, tra l’altro, che dati relativi alla presenza, alla tossicità e al destino – ossia che cosa accade dopo la digestione – di tali materiali sono insufficienti ai fini di una valutazione del rischio, in particolare nel caso delle nanoplastiche. Ad oggi né la norma europea (direttiva 98/83/CE e s.m.i.) né quella italiana che la recepisce (D.Lgs. 31/2001 e s.m.i.) impongono limiti alla presenza di microplastiche nell’acqua potabile. Coerentemente, né i controlli interni del Gestore né i controlli esterni delle aziende USL prevedono la ricerca di microplastiche.
Hera ritiene comunque opportuno seguire con attenzione lo sviluppo delle tecniche analitiche di campionamento e rilevazione delle microplastiche al fine di rendere disponibili in futuro queste metodologie sia per usi interni sia per richieste esterne. In particolare, il laboratorio Hera ha avviato contatti con il CNR-ISMAR di Venezia che è il riferimento del progetto di ricerca Sentinel4Marine Plastic Waste. In assenza, come detto, di riferimenti sia normativi che di standard di analisi, dal punto di vista del laboratorio si può comunque osservare che nell’ambito delle analisi dei modificatori endocrini che il laboratorio conduce sulle uscite degli impianti di trattamento, come può essere il BPA derivato della plastica e degli imballaggi, le analisi di laboratorio al momento non hanno osservato elementi significativi.
Pur in assenza di evidenze di rischio per la qualità delle acque potabili distribuite connesse all’eventuale presenza di microplastiche, Hera ritiene opportuno mantenere un adeguato livello di attenzione e di aggiornamento sul tema.
Il Centro Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici modellizza le plastiche presenti nei ns mari, con particolare riferimento al bacino del Po dove si modellizza una concentrazione massima fino a 70 kg per km2.
In Italia sono il fiume Po e le correnti i principali responsabili dell’elevata concentrazione di plastiche riscontrate nella zona del delta del Po e lungo le coste dell’Emilia-Romagna (18 kg per Km2 di frammenti di plastica al giorno), e delle Marche (quasi 13 kg per Km2 di frammenti di plastica al giorno). Anche le zone costiere della laguna di Venezia, Campania e Liguria presentano livelli elevati di inquinamento da plastiche, essenzialmente perché le coste e i distretti fluviali di queste regioni appaiono fortemente urbanizzati e densamente popolati.
Rilascio microplastiche da tessuti in microfibra – report Cnr
(riproduzione ammessa solo citando la fonte – testo raccolto a cura della redazione)