La vongola di Chioggia è buona, sana e può tornare ad essere un volano dell’economia cittadina. E’ il riassunto di quanto emerso, ieri mattina, al convegno di presentazione del marchio «vongola verace di Chioggia». Il marchio è stato voluto da quattro aziende storiche di Chioggia: Clam, Crame, Cam (tutte con mezzo secolo di storia imprenditoriale) e Blupesca (più recente, ma non meno significativa nel panorama cittadino) che lo hanno registrato il 4 aprile 2016, ottenendo il via libera ministeriale lo scorso novembre, come ha spiegato l’imprenditore Renzo Morato.
La presentazione pubblica, invece, l’ha voluta con forza (trovando, ovviamente, ampio consenso) l’amministrazione comunale, all’indomani della trasmissione televisiva che, qualche settimana fa, aveva incautamente definito «radioattive» le vongole di Chioggia, suscitando un vespaio in città. «Abbiamo valutato che la miglior risposta» spiega l’assessore alla pesca, Patrizia Trapella «fosse dimostrare, dati alla mano, le caratteristiche nutrizionali e di qualità delle nostre vongole veraci».
E questo hanno fatto gli esperti che hanno partecipato al convegno, a cominciare dal dottor Luciano Boffo, già responsabile dei servizi veterinari dell’Ulss di Chioggia. Boffo ha spiegato che la vongola filippina, introdotta in laguna di Venezia nel 1983 e in quelle di Scardovari, Caleri e Bonello l’anno dopo, ha dimostrato maggiori capacità riproduttive, maggiore resistenza ai patogeni e alle variazioni di salinità dell’acqua rispetto alla vongola autoctona. Oggi l’Italia è il secondo produttore mondiale, dopo la Cina, di questo mollusco. La mancanza di insediamenti industriali, in laguna Sud, e il frequente ricambio d’acqua indotto dalle maree, fanno della vongola un prodotto dalle spiccate qualità organolettiche e ricco di proteine, omega 3 e vitamine A e B12.
I veterinari Renzo Mioni (Istituto zooprofilattico delle Venezie) e Gian Pietro Fornasiero, hanno condotto un excursus sulle caratteristiche chimico fisiche dei molluschi e sui limiti di legge relativi ai principali inquinanti, dai metalli pesanti (cadmio, piombo e mercurio) agli agenti batterici (escherichia coli e salmonella), mostrando come i limiti per questi ultimi, nei molluschi, siano fissati molto al di sotto di quelli concessi, ad esempio, per formaggi e le carni e come la depurazione (con acqua di mare in impianti a ciclo chiuso, nelle aziende del marchio) che è pressoché completa in sei ore, per i molluschi della laguna sud, venga, invece, protratta per dodici ore, a ulteriore garanzia verso i consumatori. Anche i metalli pesanti fanno registrare valori quasi sempre molto al di sotto dei limiti.
Gli allevatori chiedono controlli più rapidi
I controlli sanitari sui molluschi: garanzia di qualità e sicurezza per il consumatore, ma come evitare che diventino un danno per gli operatori? La domanda, posta dal direttore di Coopesca, Alberto Corrieri, al convegno sul marchio della vongola verace non è banale. Se, per esempio, il prelievo dei campioni viene fatto il lunedì mattina, in un vivaio, il risultato viene comunicato all’azienda interessata solo al giovedì, tre giorni dopo. Se i valori sono entro i limiti, va tutto bene. Ma se i valori, come capita ogni tanto, sono “sballati”, occorre fermare la produzione (e la commercializzazione dei molluschi) fino al ritorno alla normalità. Ma, dal lunedì al giovedì, una certa quantità di molluschi è già stata venduta e il produttore la deve ritirare dai propri clienti (sperando che non sia stata già consumata) ma non può farsela pagare. «Tempi troppo lunghi per le analisi» ha detto Corrieri «bisogna fare prima». In realtà sarebbero i tempi tecnici e burocratici di trasmissione (tra le varie strutture sanitarie) dei campioni e dei risultati (per le sole analisi basta un giorno) che allungano la trafila. La soluzione, secondo il dottor Boffo, potrebbe essere duplice: tenere i molluschi interessati dai controlli “fermi” nei centri di depurazione fino alla fine delle analisi dei campioni prelevati e mettere i risultati, appena pronti, in Rete, in modo che le aziende ne possano prendere visione nei tempi più brevi possibili e comportarsi di conseguenza.
E c’è chi chiede una scuola per insegnare l’allevamento di molluschi in laguna
Una “scuola” per insegnare l’allevamento di molluschi in laguna. L’idea potrebbe sembrare un po’ pazza in un territorio, come quello di Chioggia, dove il fai-da-te, soprattutto quello con risvolti occupazionali, è più la regola che l’eccezione. Ma se a fare la proposta è Enzo Naccari, pescatore-imprenditore, amministratore della Clam, storica azienda di Chioggia a proiezione internazionale, con oltre mezzo secolo di vita, nonché fondatore dell’associazione del marchio «vongola verace di Chioggia», un motivo ci sarà.
Lo spiega lo stesso Naccari, dicendo che «la produzione delle vongole in lagiuna sud non basta per le nostre attività commerciali». E qui occorre fare un passo indietro. Da quando la vongola filippina, nel 1983, è stata introdotta nella laguna di Venezia, la sua produzione ha percorso una parabola socio economica che, oggi, si trova al livello più basso di sempre sia intermini di quantità che di numero di addetti. E il saltuario inserimento nel settore, spesso in modo abusivo e temporaneo, di persone in difficoltà, alla pur sacrosanta ricerca di un reddito, non aiuta la ripresa del settore. Anzi, introducendo fattori di rischio (malavita e assenza di controlli di sanitari) penalizza chi lavora onestamente. Di qui l’esigenza, sentita da tempo, di un marchio che è diventato realtà e che, potenzialmente, garantisce un reddito maggiore agli operatori per le garanzie che offre ai mercati. Ma se le potenzialità sono molto grandi, perché non pensare a incrementare il numero di chi lavora correttamente. «L’associazione per le vongole veraci di Chioggia è aperta a ulteriori adesioni» è stato detto al convegno di presentazione del marchio (ora ne fanno parte Clam, Cam, Crame e Blupesca) ma è chiaro che chi “entra” deve assumere gli standard di produzione dell’associazione, quanto a qualità e controlli. E le quattro aziende apripista possono fare, appunto, “scuola”, in senso lato, a tutti coloro che, pur avendo già un bagaglio di conoscenza tecniche, vogliono inserirsi nel percorso commerciale del marchio.
Del resto che si possa fare meglio di quanto si fa adesso lo dimostra l’esperienza dei “colleghi-rivali” polesani che nelle lagune di Caleri, Scardovari, ecc. riescono ad avere «una produzione importante, anche rispetto a quella della laguna di Venezia che, con i suoi 55 ettari, è più grande di quelle» afferma Paolo Tiozzo, presidente regionale di Confcooperative. Il settore molluschi, a livello nazionale, vale 130 milioni di euro, 56 dei quali vengono dal Veneto, ricorda Tiozzo, sottolineando come, con questi numeri, sia «folle non monitorare le aree di produzione del seme e non disporre di piani di intervento rapido per il prelievo di questa materia prima.
Diego Degan – La Nuova Venezia -5 e 6 febbraio 2017