Stefano Simonetti, Il Sole 24 sanità. Lo scorso 25 maggio è stata firmata la Preintesa dell’Area delle Funzioni centrali. La notizia assume una valenza e un interesse generali per almeno due motivi. Il primo è che finalmente sembra avviata a conclusione la tornata contrattuale 2019 2021 – con “soltanto” diciotto mesi di ritardo -, dato che il CCNL dei dirigenti dei ministeri e degli EPNE è tradizionalmente il primo ad essere sottoscritto. Il secondo motivo è che nel testo del contratto collettivo è presente una norma che potrebbe aprire scenari del tutto innovativi anche per la Sanità: si tratta dell’art. 20 che ha come titolo “Welfare integrativo”.
La norma della Preintesa dell’Area delle Funzioni centrali di cui si parla è molto simile a quella tradizionale presente in tutti i contratti pregressi (ad esempio, l’art. 80-bis del CCNL del 19.12.2019 dell’Area Sanità e l’art. 89 del recente CCNL del Comparto del 2.11.2022) ma è stata arricchita in questo modo:
-sono state aggiunte le lettere e) e f)
-i commi 2 e 3 relativi alla alimentazione del welfare e alle polizze integrative.
Il contenuto della lettera e) è in realtà identico a quello che 8 mesi fa era già presente nel contratto del comparto, per cui la vera novità è costituita dalla lettera f) che testualmente dice: “altre categorie di beni e servizi che, in base alle vigenti norme fiscali, non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente”.
In che senso si aprono scenari interessanti per il futuro della contrattazione integrativa nelle aziende sanitarie ? Perché per la prima volta insieme ad interventi molto tradizionali (contributi per spese sanitarie, protesi, sussidi, rimborsi della tassa di iscrizione ad albi professionali, rimborsi rette asili nido, rimborsi per gli abbonamenti al trasporto pubblico, rimborsi per l’acquisto di testi scolastici dei figli) si accenna a benefici esentasse.
Nel novembre scorso su questo sito avevo avanzato una provocazione in relazione all’utilizzo del welfare. Ricordavo che tradizionalmente il pubblico impiego non ha mai goduto di defiscalizzazioni del salario accessorio ma qualcosa ultimamente era cambiato. Secondo una elaborazione dell’ARAN di alcuni anni fa, su dati della Ragioneria Generale ricavati dal Conto annuale, risultava che la Sanità è il comparto dove si investono minori risorse per il welfare aziendale.
Come è noto, il decreto cosiddetto Aiuti-quater (DL 18 novembre 2022, n. 176, entrato in vigore il 19 novembre scorso), con l’art. 3, comma 10 aveva aumentato a € 3.000 la soglia dei fringe benefits esenti da imposte che i datori di lavoro possono erogare ai propri dipendenti, misura già adottata dal precedente Governo con il DL 115 dell’agosto 2022 nella misura di € 600. Tecnicamente l’operazione consiste di mettere in busta paga il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti nonche’ le somme erogate o rimborsate ai medesimi dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche. E detti importi non concorrono a formare il reddito, in deroga a quanto previsto dal TUIR. La disposizione citata valeva “limitatamente al periodo d’imposta 2022”. Ma attualmente il Governo ha reiterato la misura anche per il 2023 con l’art. 40, comma 1, del DL 48/2023, in fase di conversione, per cui la proposta è sempre più che valida. In realtà la norma non è del tutto identica a quella dello scorso anno perché nel decreto legge il beneficio era limitato e condizionato e, in sede di conversione, il testo affermava “in deroga a quanto previsto dall’articolo 51, comma 3”, tout court e senza precisazioni. Anche nell’odierno DL 48/2023 è stata ripetuto il contingentamento rispetto ai soli casi rientranti nella prima parte del terzo periodo, dell’art. 51m comma 3 del TUIR, ma ci si augura che il Parlamento corregga la norma esattamente come avvenuto lo scorso anno.
Tuttavia, il vero problema del welfare nelle aziende sanitarie è il suo finanziamento che in passato era del tutto aleatorio e poteva anche essere pari a zero. E’ evidente che la soluzione ottimale sarebbe quella di incrementi da parte del bilancio aziendale ma dubito che i Direttori generali seguano questa strada. Restano le quote da parte del Fondo per la retribuzione di risultano che sono, in ogni caso, a discrezionalità della contrattazione integrativa. A questo proposito, si segnala che nel CCNL dell’Area delle Funzioni locali del 17.12.2020, secondo l’art. 32, la quota da utilizzare è obbligatoria – stranamente nel limite del 2,5% per i dirigenti RAL e del 5% per i dirigenti PTA – e questa obbligatorietà potrebbe essere riportata nel CCNL della dirigenza sanitaria che si sta negoziando.
Esistono altri tre recentissimi interventi che supportano una possibile evoluzione positiva della partita del welfare aziendale e sono:
•la circolare dell’INPS n. 49 del 31 maggio 2023 dal significativo oggetto “Welfare aziendale e sostituzione dei premi di risultato con misure di welfare”;
•il parere di cui alla deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Liguria n. 61/2023/PAR del 17 maggio 2023, con la quale è stato affermato – anzi, ribadito – che “le spese del personale finalizzate al welfare integrativo non sono assoggettate al limite del trattamento economico accessorio di cui all’art 23, comma 2, D.lgs. 75/2017”;
•la circolare n. 23 dell’8 giugno 2023 del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato con la quale sono state diffuse le istruzioni per la compilazione del Conto annuale del personale relativo al 2022. Tra le novità di maggiore interesse di quest’anno c’è senza dubbio la creazione di una specifica sezione finalizzata a censire, all’interno delle pubbliche amministrazioni, il welfare integrativo, ovvero l’insieme di benefit e prestazioni non monetarie erogate a favore dei dipendenti, con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita e il benessere dei lavoratori e dei loro familiari.
Utilizzando le opportunità fornire dalla prassi di cui sopra e partendo, naturalmente, da una clausola contrattuale ben articolata, penso che si possano raggiungere risultati impensabili fino a poco tempo fa. Ad esempio, parlando della dirigenza sanitaria e della annunciata imminente chiusura del contratto, si potrebbe ipotizzare di incrementare il Fondo ex art. 95 ricorrendo all’art. 53 del CCNL del 2000 e trasferire al welfare una quota che il nuovo contratto potrebbe anche liberalizzare rispetto al 5%, già sancito nell’Area delle Funzioni locali, come si ricordava sopra. La destinazione a misure di natura assistenziale e previdenziale dovrebbero garantire la neutralità ai fini del rispetto del famigerato art. 23, comma 2. A completamento del percorso, gli interventi decisi a favore dei dirigenti dovrebbero essere defiscalizzati e secondo me – aldilà della mancate promesse del Patto per il lavoro – già a legislazione vigente l’operazione è possibile.